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Il Giornale

Addio vecchio sughero, arriva l’acciaio. E il vino non rischia più di sapere di tappo ... Quattromila espositori, questo il Vinitaly 2004 e se è significativo l’ingresso della Berlucchi nel Consorzio della Franciacorta perché pone fine alla separazione in casa tra chi aveva inventato il fenomeno delle bollicine bresciane e tutti gli episodi a seguire, non c’è dubbio che il gesto a cui ti obbliga per aprirlo un certo Barbera d’Asti appartiene ai momenti top di una manifestazione. Pier Giorgio Scrimaglio è viticoltore in Nizza Monferrato, settecentocinquantamila bottiglie che vengono stappate, Italia a parte, negli Stati Uniti e in Scandinavia e via a Est verso il Giappone. Quindicimila racchiudono un segreto che il nome in etichetta. No cork, no sughero, dovrebbe farti intuire ma lo stravolgimento di un simile salone del vino è tale che tutto dopo un paio di ore sembra e suona eguale. Morale. Il titolare, secondo copione, dispone sulla tavola tutto l’indispensabile per una degustazione, escluso il classico cavaturaccioli a vite. C’è invece, inatteso, un apribottiglie per bibite gassate con tappo corona. Pensi sia per l’acqua minerale, errore. Scrimaglio taglia la capsula e, sopresissima, fa capolino un tappo d’acciaio. Del sughero zero tracce. “Dobbiamo metterci in testa noi produttori che il sughero non è infinito e più si imbottiglia il vino e meno ce ne sarà, sarà di qualità sempre inferiore con grave danno per la qualità del vino. Un esempio. Talwan ha messo a dimora vigne per un’estensione di cinquemila ettari cosa accadrà quando anche la Cina farà vino? Ora si usano ogni anno venti miliardi di tappi, tutti buoni?”.
Impossibile. E allora ecco che il biologico e il biodinamico, insomma quello che viene definito il vino vero perché no conosce chimica e filtrazioni diventa una frontiera che va oltre fenomeni sociali e politici di rifiuto della società consumistica tipo il movimento del Critical Wine, padre putativo Gino Veronelli, che celebrerà il suo contro Vinitaly qui a Verona oggi e domani. Scrimaglio vende il suo Barbera no global a 6,90 euro contro i 14 della versione affinata in barrique. Che differenza, viene spontaneo dire, ma bisogna tenere presente che uno appartiene alla vendemmia 2002 e l’altro a quella 1998, sono capitali immobilizzati che incidono sul prezzo.
Se il mercato accetterà una simile soluzione, che elimina alla radice il rischio dell’odore di tappo, sarà una rivoluzione. In fondo a Nizza Monferrato si usa lo stesso tappo iniziale della lavorazione dello champagne, se va bene a Reims, perché non sui vini fermi? Di certo il bio-vino sta crescendo in qualità. Si è imparato a farlo, non è più privo di stoffa. Avrà implicazioni anche culturali, ma dei 4mila espositori sono 60 quelli espressamente biologici. Mai stati così tanti. E’ un movimento trasversale al quale si “iscrivono” i personaggi più diversi, ad esempio sua bellezza Jacopo Biondi Santi, la cui tenuta al Castello di Monterò in Maremma è biologica, ai titolari della Perlate, solo bio Prosecco di Conegliano, a quel chimico di Roma, Francesco R. Leanza, che, stufo di una vista spesa in laboratorio, nel ’90 acquistò il podere Salicutti a Montalcino e 6 anni dopo presentò il suo primo Brunello. Aveva una particolarità: era il primo bio-Brunello. Nella perla del Senese gli diedero del matto, perché rivoluzionare un capolavoro? Come cambiare il sorriso della Gioconda, apparenza una castroneria. Però il suo vino aveva e sempre ha una marcia diversa. Non si possono fare paragoni tra il vino a cui siamo abituati da decenni e quello nudo e crudo, hanno in comune l’uva ma interpretata lungo idee e ideali appositi tra loro. E il mondo del vino non è sferico, chi fa vela a oriente non incrocerà mai chi ha messo la prua a occidente. (arretrato de "Il Giornale" del 3 aprile 2004)

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