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Il Giornale

Tutti i segreti dello spumante in un brindisi lungo un secolo. La casa vinicola Ferrari festeggia 100 anni di vita. Il futuro: enogastronomia legata all’arte ... Ferrari è un nome fortunato. Molto. Ma questa fortuna è meritoria. Basta pensare un attimo all’ingegnere e commendatore onorario Enzo di Maranello, e a quanto abbiano vinto e trionfato i suoi bolidi rossi, dal dopoguerra alle altissime vette di quest’anno, che di più non si può. Ma questo avvio è una libertà del cronista, che Enzo Ferrari aveva conosciuto e in più di una delle felici occasioni aveva con lui brindato per eternare il momento: Millemiglia, Monza e anche a Maranello, nella confortevole osteria proprio di fronte al suo stabilimento. E con quale vino si brindava in quei casi? Con il Ferrari, perdinci! Che lui prediligeva con un vezzo di solenne simpatia per l’omonimia. Ma soprattutto per la qualità “che è all’altezza - diceva senza regalare niente - perché - dopo una pausa aggiungeva - è come noi, vincitore. Proprio come noi”. Così era allora. Ma oggi se ne scrive perché un omonimo, lo spumante Ferrari di Trento, celebra il suo centenario, calcolo o termine peraltro improprio perché i cento anni li ha già festeggiati due anni or sono. Ma proprio in quella fortunata circostanza un importante artista, naturalmente italiano, Arnaldo Pomodoro, accolse a cuore aperto il compito di eternare l’evento con una sua gigantesca opera che simboleggia una bottiglia, e che è stata presentata dai titolari della ditta, a loro volta presentati a “Bottiglia a bottiglia” dal serioso, ma anche divertito e a tratti veramente spiritoso, Bruno vespa. Non astemio e autorevole conduttore della cerimonia, affiancato dagli esperti d’arte Gabriella Belli e Danilo Eccher, ambedue autorevoli tridentini. Incontro e festa a cui sono contento di esserci stato. Come tutti gli altri colleghi intervenuti, ma anche per due o tre motivazioni ancor più profonde. Mi è concesso? Rispondo di sì, perché essere vecchi più di una volta autorizza a raccontare ciò che si è vissuto e imparato dal vero, come in questo caso. Mio padre, di nome Ciro, infatti, è nato a Lavis, 8 chilometri a nord di Trento. E a Trento, nello stesso anno, venne al mondo un bambino di nome Giulio. E poi Ferrari. Si conobbero anni dopo, all’Imperiale Istituto Agrario di san Michele all’Adige e assieme si diplomarono in enologia. In vino cioè. Mio padre si occupò poi di governare la cantina di Lavis che produceva Nosiola bianco e Schiava rossa, mentre l’amico Giulio, indubbiamente più ambizioso e di più alte vedute, pensò subito allo champagne. E andò in Francia a imparare. Andando avanti e indietro, portandosi le barbatelle, trapiantò sulle colline del trentino la materia prima per la produzione. Che si rivelò eccelsa. Tra l’altro poi, ancora giovane, sposò una contessina Schultaus, la cui famiglia aveva a Lavis il palazzo della dinastia e lì furono dimorate le prime bottiglie dell’autorevole prodotto. Mille, duemila, fino a 8 mila dopo alcuni anni. I due Ferrari non ebbero figlie e allora il buon Giulio, perché il seguito fosse all’altezza, la sua, cercò un erede stimato e sicuro, per il prosieguo della istituzione, e lo trovò nel signor Bruno Lunelli, che di vino se ne intendeva molto. E a lui dopo alcune trattative, passò con piacere marchio e azienda. E fu bravissimo, perché il signor Lunelli, aveva anche cinque figli, quattro maschi, e una deliziosa femmina, e tre di essi, amici miei e anche ottimi sciatori agonisti, Gino, Franco, Mauro, divennero ben presto attori e impeccabili imprenditori. Da 8 mila le bottiglie sono salite a 4 milioni e mezzo, onore enologico d’Italia diffuso in tutto il mondo, stimate, e pure invidiati, perfino in Francia. L’incontro di ieri, celebrato in un’atmosfera resa amicale dalle opportune parole del presidente dell’azienda, Gino Lunelli, poi arricchite da apprezzati cin cin indirizzati anche ad Agostino Da Polenza, conduttore della recente spedizione italiana vittoriosa al K2, e arricchite da opportune armonie musicali che hanno preceduto la “svestizione” della bellissima e svettante scultura di Arnaldo Pomodoro, alta sette metri e impreziosita da guizzi di acqua saliente che facilita l’accostamento al sublime prodotto al quale è dedicata. Qualcuno potrebbe pensare a una bottiglia di spumante ma non lo è. E molto di più.
Quanto l’opera è stata “svestita” si è diffuso un momento di straordinaria emozione e lo meritava: resterà sicuramente una delle più storiche opere del grande Arnaldo, è di bronzo, c’è l’acqua, ma è molto di più. Non a tutti succede, ma qualche vecchio maestro può andare anche contro corrente e lasciare il segno più forte a 90 anni, piuttosto che a 30 o 40 come molti altri. La si vede bene anche dall’adiacente autostrada. E la vedranno ogni anno oltre 20 milioni di automobilisti “Chissà quanti stop, quali code”, ha detto spiritosamente Bruno Vespa. “Meglio così, dico io”. L’attenzione non guasta, né per l’arte, tanto meno per il Ferrari. (arretrato de "Il Giornale" del 18 settembre 2004)

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