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Il Giornale

Caprai e il mito del Sagrantino – Il vino dell’anno è umbro, ma rischia di essere clonato in Australia ... Cesare Pillon è uno dei giornalisti del vino più scrupolosi e attenti, soprattutto non è un pallone gonfiato di boria e arroganza. Ogni autunno si prende la briga, per Milano Finanza, di sommare i voti delle guide al berebene per vedere qual è la bottiglia dell’anno. Precisato che prende in considerazione Gambero Rosso-Slow Food, Ais Bibenda, Veronelli, Espresso e Maroni, per la tornata 2005 (attenti: è l’anno delle guide, non quella della vendemmia, la 2001 per i primi classificati) al vertice assoluto troviamo il Montefalco Sagrantino 25 anni, il turbo rosso dell’Arnaldo Caprai-Val di Maggio, gran cerimoniere Marco Caprai. Ritroviamo questa azienda in località Torre a Montefalco in provincia di Perugia, 0742/378802, www.arnaldocaprai.it ... Bandiera. Lo è il Sagrantino dell’Umbria, ma lo è da poco perché la vocazione della regione sarà certo antica e il vitigno rsalirà anche al sedicesimo secolo, ma o un ventina fa i Caprai, padre e figlio, si facevano carico di un vitigno dai natali sconosciuti (pare sia arrivato a noi grazie a monaci bizantini o frati francescani spagnoli, o addirittura per San Francesco in persona) o buonanotte bevitori. Le dati salienti: nel 1971 babbo Arnaldo, industriale ramo centrini, merletti e cachemire acquista 45 ettari di vigneti a Montefalco. Nel 1988 la produzione passa nelle mani del figlio Marco di anni 24 che tre anni dopo rivoluziona l’azienda. La svolta. In casa Caprai arriva con la selezione 1993. Ricorda Marco: “Quell’annata celebrava i venticinque anni della cantina, soprattutto fu la prima che si classificò al top delle varie guide” ... Estinzione. L’ha rischiata il Sagrantino. Per quanto numerosi siano i testi che parlano di una Montefalco ai vertici dell’enologia umbra, negli anni Sessanta questa uva era quasi scomparsa. E se oggi è celebrata e ambita lo è in versione secca, mentre un tempo era gradita come passito. In pratica una quarantina d’anni fa sopravviveva dentro le mura di Montefalco, con quella dell’orto del convento di Santa Chiara che oggi ha un età di un secolo e mezzo. Il Sagrantino è ripartito da quei cloni. Ma anche oggi che Caprai è un big e il suo “25 anni” lo si trova in enoteca a 60/70 euro, resta un vino a rischio ... Scippo. E’ quello che in Umbria temono da parte della confinante Regione Toscana. Da sempre i vitigni non sono un’esclusività, quindi nulla vieta ai toscani di ammettere il Sagrantino tra quelli ammessi. Ha detto Marco Caprai: “Ho letto la delibera incriminata mentre sfogliavo una rivista specializzata. Mi sono detto che se questo è il federalismo bisogna che si mettano dei limiti.” Che non sono poi tanto verso i vicini di casa ma verso quel nuovo Mondo, Australia, Cile, Sudafrica e California dove si teme siano finite molte delle barbatelle prodotte nel 2004: del milione e ducentomila pare che solo la metà siano rimaste in Umbria. E se siamo i primi che non rispettano una identità assolutamente umbra, figuriamoci negli altri continenti. Mossa. Chiara e ambiziosa quella di Caprai: “Con l’Università di Milano ho istituito una borsa di studio sul tema “Alle origini del Sagrantino”. Il ragionamento è semplice: se il 99% dei vitigni arriva dal Caucaso, è altamente probabile che sia così anche per il Sagrantino. Con questa borsa di studio miro a trovare il vitigno fratello del “mio”. Se lo si scova il Sagrantino inteso come vino è legato indissolubilmente a Montefalco, al punto da poter essere registrato come un marchio di fabbrica. Il rischio di essere imitati è concreto: basta dire che in Australia si può dare il nome a un vitigno non i purezza, ma solo in maggioranza. E nemmeno assoluta, ma in misura del 34%. A quel punto il Sagrantino sarebbe un’altra cosa”. E alla lunga ci sarebbe chi non troverebbe più buono il Sagrantino di Montefalco perché troppo virile e gagliardo.

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