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Il Giornale

La Toscana torna a sorridere: Brunello, Chianti e Nobile, i miti sono saliti sul treno della ripresa ... E se fosse una favola metropolitana? Si è ammiccato e scritto che il vino di Toscana è in crisi perché ha stressato i prezzi e la sua identità. Si è finito per crederlo fino a qualche giorno fa quando, come capita ormai da alcuni anni, i tre “grandi”, Chianti Classico, Brunello di Montalcino e Nobile di Montepulciano, sono stati presentati in anteprima in una staffetta di degustazioni. La qualità delle bottiglie ha fatto premio sul pettegolezzo e se certo non c’è da stare allegri perché il mercato s’è fatto selettivo, non c’è nemmeno da intonare il de profundis. L’aver sentito, come si dice da queste parti, il “morso del lupo” è stato salutare per i produttori. Si è percepita prima ancora che una qualità media elevata in tutte e tre le denominazioni, con ovvie differenze tra i vini e una complessità di sfumature da zona a zona come non si ricordava da tempo, una ritrovata caparbia intelligenza dei produttori. Comincia Piero Antinori che il due marzo in un convegno significativamente intitolato “Per un nuovo Rinascimento” presenta il progetto della nuova cantina a Bargino a due passi da San Casciano in Val di Pesa, storica sede di questa plurisecolare dinastia di vignaioli. Qualcuno l’ha già battezzata la Cattedrale del Chianti: coniuga la storia con l’industria, la tecnologia con la tradizione perché ospiterà un museo e sarà interamente realizzata in cotto e marmo di Carrara. Risponde da Montalcino Edoardo Virano direttore di Col d’Orcia che mette all’asta mille casse composte dalle “mitiche” annate 77, 80 e 85. Le ha scelte il guru di Christie’s David Elswood: a comprarle saranno i collezionisti di tutto il mondo. Infine Francesco Ricasoli, erede del barone di ferro, ha deciso di aprire il Castello di Brolio nelle domeniche di marzo per consentire a chi arriva non solo di degustare il vino, ma di conoscere la sua origine. E se i colossi puntano sulla storia i piccoli, succede a Casafrassi a metà marzo è successo a Lamole in autunno, vanno alla riscoperta del paesaggio del Chianti. E’ dunque una Toscana determinata a ricostruire per i suoi vini un’immagine meno patinata e di maggiore sostanza. Quella che si ritrova nelle bottiglie. Alla Stazione Leopolda a Firenze dove ha sfilato il Chianti Classico 2004 si è sentita finalmente un’ottima vendemmia. Non eguale in tutte le zone. Certo è che Castello di Ama, Fonterutoli, Ricasoli, con una sorpresa positiva per il balzo qualitativo di Castello d’Albola e conferme di eccellenza per Badia a Passignano, Recine, Volpaia, Castellare, Vignamaggio. Le Corti del Principe Corsini, hanno presentato vini di buona struttura, complessi, avvolgenti al palato ed eleganti. L’eleganza è il tratto caratteristico di queste anteprime, segno evidente che il periodo del troppo legno, della concentrazione, dello snaturamento dei tratti del Sangiovese è vivaddio tramontato. Lo ha ampiamente confermato Benvenuto Brunello che ha assegnato alla vendemmia 2004 il massimo delle stelle: 5. Se saranno confermate lo sapremo tra quattro anni. I Brunello 2000 (e le riserve ’99) andati in degustazione ci hanno detto però che la prima vendemmia del terzo millennio (a vent’anni esatti dalla raccolta d’esordio della Docg) promette vini longevi. Il Brunello si presenta fresco e molto equilibrato. In generale la produzione è allineata su buoni livelli qualitativi anche se le differenze da zona a zona sono notevoli soprattutto per quanto riguarda la persistenza dei bouquet. Conferme sono venute dai soliti noti (Banfi, Col d’Orcia, Pacenti,, Greppone Mazzi, Casanova di Neri) ma Montalcino quest’anno ha spiccato per tre elementi positivi: i piccoli sono tutti in ripresa di qualità, l’export torna a tirare, e a smentire chi sosteneva che il Brunello era in svendita si sono viste nuove bottiglie. L’esordio ad alto tasso di glamour è stato quello della tenuta Corte Pavoni di Rainer Loacker (il signore dei wafer anche se ormai i dolcetti li producono i fratelli Armin e Christine) che ha affidato al figlio, Hayo, la realizzazione del Brunello di famiglia. Rainer ha oggi tre tenute, una in Alto Adige e due in Toscana. Si è innamorato del vino pensando all’omeopatia, si è innamorato di Montalcino pedalando i contrafforti di questi splendidi vigneti. La sua prima bottiglia montalcinese ha dato buoni esiti a conferma che la zona del Romitorio, dove opera Sandro Chia che ha presentato ottima produzione, sta crescendo. Ma in crescita è tutta la denominazione che finalmente si sta riavvicinando all’archetipo dei Biondi Santi (la dinastia che ha creato il Brunello e che anche quest’anno non ha smentito l’immensa classe delle sue bottiglie) con vini meno spessi, più fini e persistenti. A questo partito dei puristi si iscrivono le etichette di Andrea Costanti, degli Eredi Fuligni, di Poggio San Polo, della Fornacina, di Gode e di Sesti.
La sorpresa l’ha riservata il Nobile di Montepulciano. Presentava in degustazione l’annata 2002, difficile da appena due stelle (la 2004 è stata giudicata dal Consorzio molto buona: 4 stelle). I non molti produttori che hanno creduto in quella vendemmia hanno comunque offerto vini eleganti, fini, di buona acidità. Non sono vinoni, forse neppure destinati a sfidare il tempo, ma sono di assoluta piacevolezza. Etichette come la Braccesca, Poliziano, Avignonesi hanno fatto sentire la classe ormai consueta, ma da applausi è parso il Vigna d’Alfiero di Valdipiatta. E’ stata questa una delle poche cantine del Nobile a presentare un cru. “E’ stata - sussurra Miriam Caporali - una sfida con noi stessi. Ne abbiamo prodotto meno della metà degli anni normali, ma eravamo convinti della bontà delle uve e il risultato è incoraggiante”. Dalle anteprime il dato in assoluto più confortante è questo: una ritrovata convinzione dei produttori. Che dal Chianti Classico, al Brunello, al Nobile s’impegnano a raffreddare i prezzi per agganciare il vagoncino di una miniripresa che ha significato per il Chianti 140 milioni di bottiglie vendute, per il Nobile una buona tenuta e per il Brunello l’apertura di nuovi mercati tant’è che oggi - come spiega Stefano Campatelli direttore del Consorzio - il “Brunello è un marchio registrato in sessanta paesi”. E non è una favola internazionale.

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