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Il Giornale

Ecco tutti i ristoranti dove il vino della casa è di casa vostra… Al ristorante con il vino portato da casa. E’ l’ultima novità importata dagli Stati Uniti, Canada e Australia, che però potrebbe anche diventare una necessità, viti i prezzi astronomici raggiunti dalle bottiglie. Gli americani l’hanno battezzata Byow: bring your own wine, portati il tuo vino. Un fenomeno diffuso da tempo, nato dal fatto che molti locali sono privi di licenza per vendere alcolici, ma che ora è diventato un nuovo trend che unisce l’esigenza di risparmiare al desiderio di gustare al meglio un vino speciale. Ormai parecchi ristoranti consentono di portare via le bottiglie rimaste a metà (ma pagate per intero). Si chiama Thta, take home the rest. Questo è l’esatto opposto, enormemente più economico. Dalla California all’Ontario alla Nuova Zelanda Internet trabocca di indirizzi byow. Ti hanno regalato una bottiglia speciale e non sai preparare un piatto adeguato per accompagnarla? Vuoi assaporare il nettare degli dei nel bicchiere giusto, alla temperatura giusta, scaraffato nel decanter giusto, abbinato al cibo giusto? Vuoi festeggiare con gli amici ma non puoi farlo a casa tua? Vuoi semplicemente bere un grande vino senza spendere follie? Prendi la tua bottiglia fuoriserie e la fai stappare da un professionista della buona tavola, che magari ti aiuterà nella degustazione. In cambio chiederà un diritto di tappo, una somma che di solito va dai cinque ai dieci euro a bottiglia. Ma c’è anche chi si accontenta di un sorso. “Così ho assaggiato un vino del Sinai – racconta il friulano Carlo Piasentin, titolare del Novecento a Casarsa della delizia – un’altra volta hanno portato un vino del Carso torbido, denso, sembrava succo di frutta e sull’etichetta c’era scritto di agitare prima di bere”. Sono una decina i ristoranti nostrani byow, per la maggior parte al nord, tutti di ottima qualità. Il capostipite è stato Guido da Costigliole di Santo Stefano Belbo (Cuneo) una delle grandi tavole d’Italia stellata Michelin. Il locale della famiglia Alciati ha una cantina sterminata (900 etichette, 25mila bottiglie) più volte premiata dalla rivista Wine Spectator: una parte è affittata a una piccola cerchia di appassionati che vi conservano nelle condizioni ideali le collezioni di bottiglie pregiate. “Abbiamo lanciato l’idea due anni fa e simao molto contenti” dice Luca Alciati. Anche Amerigo a Savigno (Bologna) ha una stella Michelin. Il Pegaso di Gavardo (Brescia) vanta un Oscar del Gambero Rosso e l’Amelia dei Boscarato a Mestre una lunghissima tradizione; l’elenco comprende poi i Molini di Mirano (Venezia) l’Ama di Milano, il Novecento nel Pordenonese, l’antica Piazzetta a San Giovanni Rotondo (Foggia). All’estero è una formula comoda, perché evita ai ristoratori di chiedere la licenza per gli alcolici e quindi elimina spese e responsabilità. Da noi è un modo per riempire serate fiacche, per ospitare gruppi di amici appassionati di vino, ma anche per richiamare una clientela che altrimenti non entrerebbe mai2. “Un’idea bellissima – esclama Paolo Massobrio, fondatore del Clup Papillon e grande esperto di vino – vuol dire che il cliente va al ristorante perché si sente a casa propria, è un segno di grande fiducia e mi auguro che prenda sempre più piede. Spero anche che certi ristoratori si accorgano di avere carte dei vini vecchie, banali fotocopiate dalle guide e che la gente invece chiede qualità”. “Espediente intelligente – aggiunge Franco Ziliani, giornalista enologico – di chi sa che deve guadagnare con la cucina, non con la cantina, mentre oggi molti locali vogliono fare i soldi a tutti i costi, con il risultato che la gente non esce più perché portare la famiglia al ristorante è un sinistro. L’anno scorso il presidente del consorzio del Chianti Classico, Giovanni Ricasoli Firidolfi, si lamentò in un convegno che nelle enoteche i ricarichi sul vino erano dell’80 per cento e in certi ristoranti raggiungevano il 500 per cento. Una verità inconfessabile: i ristoratori, ma anche certi produttori, quasi lo linciarono”. E se qualcuno entrasse al ristorante con il vino in cartone? Piasentin ride: “Mai successo, da me non sono mai arrivate bottiglie comuni. Comunque, porte aperte anche al Tavernello” (arretrato del 25 ottobre 2005).

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