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Il Giornale

Turismo del vino senza gli enoradicalchic ... Caro Granzotto, vorrei tornare su un argomento che mista a cuore, quello delle«Cantine aperte». Si è chiesto Paolo Massobrio (ed anche lei) la ragione del suo successo?È un po’ quello che succede nelle varie maratone stracittadine, ma anche strapaesane se non addirittura di quartiere. Non mi si venga a dire che i partecipanti sono tutti dei maratoneti. Pance molto evidenti, natiche cadenti, rivoli di sudore e chi più ne ha più ne metta, rappresentano per la maggior parte l’aspetto dei partecipanti. Però nel «folclore» (comel o definirebbe Massobrio) hanno una loro utilità. Intere famiglie, bambini compresi, vi partecipano, si respira una allegria ed un cameratismo che nel quotidiano, purtroppo, non si riscontra. Inoltre è anche un modo non di mettersi in vetrina, ma di poter affermare «io c’ero» che, per l’edonismo di molti, non guasta. Lo stesso concetto vale per «Cantine Aperte».Che nacque come manifestazione che avesse lo scopo di avvicinare i produttori ai consumatori in modo che questi ultimi potessero rendersi conto che «fare vino» non è (con tutto il rispetto per i calzaturieri) come fare scarpe. Per «educare», insomma, e far conoscere la produzione vinicola nella sua generalità a noi gente comune. La quale inizialmente pensava che girando per cantine aveva l’occasione di poter gustare qualche bicchiere e, se del caso, fare qualche acquisto. Invece, ed ecco un’altra ragione del successo, trovava un’accoglienza «familiare», l’ospitalità calda e sincera (ovviamente anche se un poco interessata) soprattutto dei piccoli e medi produttori che si facevano in quattro predisponendo tavoli imbanditi da salumi, formaggi, stuzzichini, torte «fatte in casa» per rendere piacevole la visita alla cantina. Successivamente, con il passaparola, i visitatori si sono moltiplicati e la manifestazione ha raggiunto un consenso superiore ad ogni aspettativa, che comporta però le conseguenze deplorate da Massobrio. Ma se il clima di sagra serve per avvicinare i consumatori al mondo del vino, ben venga anche con quanto lamenta Massobrio. E poi, è proprio convinto che tenere aperte le cantine tutte le domeniche rappresenterebbe il rimedio? Senza parlare di cosa significherebbe come sforzo economico non le pare che per evitare il «folclore» si finisca con il fare una manifestazione di élite (ovvero non troppi visitatori) o che rientra nella quotidianità, priva cioè di quel carattere di «evento» che porta ad interessare quotidiani, riviste, trasmissioni televisive e quant’altro? Più realistico a mio avviso sarebbe realizzare «Cantine Aperte» due volte l’anno. Una nell’attuale periodo e l’altra una quindicina di giorni (forse più) dopo la fine della vendemmia. Le chiedo scusa per questa «zuppa», ma proprio perché anch’io desidererei una giusta valorizzazione del vino senza certi eccessi, mi sono permesso di esprimerle il dissenso da quanto propone Massobrio (e lei). Spero per questo che non mi espella dal Circolo del Tavernello.
Gianfranco Rebesani
Stia tranquillo, caro Rabesani, lo statuto non contempla l’espulsione. Nemmeno del socio sorpreso a bere, leccandosi i baffi, vino cileno, si figuri. Prendiamo atto del suo dissenso e della sua proposta. Ma sappia che rispondendo alla provocazione di Paolo Massobrio la presidente del Movimento Turismo del Vino, Chiara Lungarotti, ha affermato che «c’è bisogno di guardare avanti, di fare di Cantine Aperte non solo un giorno di festa quanto un modo di pensare tutti i giorni dell’anno». Sappia che il sindaco di Montefalco (terra di Sagrantino, mica no) ha attivato un servizio perché le cantine accolgano i clienti tutto l’anno. Sappiache GigiRosso - Baroli, Dolcetti e Nebbioli da re - fa sapere che la sua langarola cantina restò chiusa domenica scorsa, il ciucca day, ma nel resto dell’anno aveva ospitato cinquemila persone. Segnali, conclude Paolo Massobrio, che un nuovo turismo del vino comincia ad attecchire lontano dall’episodicità e dal folclore. Ovvero (lui non lo dice ma secondo me lo pensa) nello spirito che anima il Circolo del Tavernello: bere bene senza per questo finire sul lastrico, con calma, senza tante ammuine, grancasse e sceneggiate enoradicalchicchettone.
Paolo Granzotto
(arretrato de Il Giornale dell'8 giugno 2006)

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