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Il Giornale

Ora il mondo vuole più champagne. È guerra per i vigneti ... Al cospetto dei francesi, per consolarci non ci resta che il calcio e il ricordo di Berlino 2007. Per il resto ci scaricano come amanti (Marin-Manaudou), ci soffiano le donne più belle (Sarkozy-Bruni), si fanno beffe dei nostri cuochi a livello di guida Michelin, con l’Air France si prendono l’Alitalia e in cantina ci fanno marameo a livello di bollicine. Possiamo ricordare l’italianità di Prosecco e Cartizze, Asti e Moscato, ma al top il confronto è a livello di Champagne versus Metodo Classico: imbarazzante per le quantità e pure per la qualità perché a livello di cugini è così diffusa che l’area dello Champagne ormai scoppia.
Mentre noi italiani siamo contenti perché, finalmente, tra l’anno scorso e l’anno ormai al lumicino abbiamo infranto il muro dei 20 milioni di bottiglie (di queste 8,3 di Franciacorta, 7 di Trento Doc, 1,8 dell’Oltrepò più la Berlucchi che da sola ne piazza 5 milioni, con i decimali sparsi tra Alto Adige, Piemonte, Toscana, Marche...), venti milioni di pezzi rappresenta in pratica anche l’aumento di vendite, dato del settembre scorso, dello champagne. Lo ha ricordato Domenico Avolio, responsabile per il nostro paese del Centro informazioni Champagne, www.champagne.it: “Nel 2006 le bottiglie affluite sui vari mercati furono 320 milioni, adesso ecco un importante +6,4%”. Poi è chiaro che ognuno fa riferimento alla sua realtà e questo spiega perché nell’Oltrepò sono contenti di avere programmato per il 2010 un raddoppio abbondante della produzione: da un milione e 800mila bottiglie a 4 milioni. Siamo al solletico per i pigliatutto di Parigi e Reims che ormai sentono il record di vendite del 1999 (c’era di mezzo il brindisi per il nuovo millennio e saltarono 327 milioni di tappi) come una sorta di camicia di forza, ormai strappata perché quando nel 2008 faranno i conti del 2007 avranno conferma di avere superato quota 330.
Per quanto uno possa lavorare di fantasia, per quanto faccia impressione pensare che le cantine di stoccaggio si sviluppano per oltre duecento chilometri di gallerie, per quanto possano risultare tanti 32.500 ettari coltivati a Pinot Nero, Pinot Meunier e Chardonnay, aree benedette a est-nord est di Parigi, la sete dei nuovi mercati, la Russia ma soprattutto l’India e nella sua scia la Cina, ha saturato la zona.
Éperney e Reims, Château-Thierry, Sézanne e Bar-sur-Seine bene benissimo, e poi? Poi bisogna farsi venire un’idea e l’idea è stata di battezzare terra da champagne, terra che tale non è mai stata. In teoria il totale coltivabile raggiunge i 35mila ettari, ma siamo un po’ alla differenza, quando si acquista una casa, tra superficie totale e quella calpestabile. Una certezza: i controlli lassù sono ferrei, non si ciurla nel manico. Per quanto siano francesi, sono ben poco latini. Un rimedio, che però si sta rivelando un tampone, è stata l’aumento della resa. Era di 13.400 chili per ettaro, è salita a 15.500 con una potenzialità attorno ai 400 milioni.
Non basta però. Con India e Cina che da sole puntano ai tre miliardi di abitanti, se il 10 per cento presto desiderasse bere almeno una bottiglia di champagne in un anno, al resto del mondo rimarrebbero gocce, oltre che un’importante opportunità per i nostri produttori per proporre i loro gioielli. Ecco perché ai 324 comuni che storicamente concorrono a formare l’area dello champagne, hanno deciso di aggiungerne una quarantina.
Per coloro che lì hanno dei terreni vitati, è come se fossero stati iscritti d’ufficio a una lotteria che dispenserà premi milionari. E senza nemmeno pagare il biglietto. C’è chi ha fatto due calcoli e sono occhi che luccicano tale l’importanza della posta in palio: un ettaro, che ora vale poco più di nulla, perché il vinello che produce - se lo produce - non interessa fuori dal territorio comunale, potrà anche schizzare a 800mila euro. Magari avremo lo Champagne storico e poi quello nouvelle, ma i francesi sono maestri nel reclamizzare le loro eccellenze che sapranno far sì che nessuno parli di champagne di serie B.

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