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Il Giornale

I sommeliers e la suggestione dell’etichetta ... Caro Dott. Granzotto, a proposito del “Circolo del Tavernello”, citato anche nel numero di domenica 5 aprile del Giornale, mi permetto di riservare alla sua attenzione la seguente gag tratta dall’ultimo film di Vincenzo Salemme, “No Problem”. I due pasticcioni, Salemme e Rubini, si trovano a una degustazione di vini (con annesso concerto lirico) e inavvertitamente rovesciano la caraffa contenente il prezioso nettare da giudicare. Per rimediare alla goffaggine, Rubini acquista dall’operaio che lavora al davanzale un cartone di Tavernello (chiaramente riconoscibile) - per l’abnorme prezzo di 50 euro - e lo versa al posto del vino da degustare. I due si godono poi le iperboliche lodi dei cosiddetti “esperti” alle prese, a loro dire, con una sublime ambrosia. Da parte sua propongo di consegnare una tessera ad honorem del “Circolo del Tavernello” al suo autore. Può gustare la gag su YouTube al seguente collegamento: http://www.youtube.com/watch?v=N6lz4aZQslw

Pietra Hasenmajer – Roma

Lascio l’indicazione del collegamento, caro Hasenmajer, per consentire ai lettori che non abbiano in cagnesco Internet e che ancora non siano andati a vedere “No Problem”, di farsi quattro risate. Quella dei fini intenditori, dei super esperti - persine dei sommeliers con tanto di tasterin al collo -che sbagliano nel giudicare un vino versato in caraffa, senza dunque la sua etichetta, è un classico. Del cinema e della vita reale. Quello di scaraffare un buon vino dando a intendere che sia non so quale eccelsa couvè a chi vanta grande competenza e palato sopraffino (quelli che prima di buttar giù un centello fanno la sceneggiata: bicchiere in trasparenza, movimento rotatorio del medesimo, affondamento del naso, gargarismi col primo sorsetto, occhi levati al ciclo in segno di condizione estatica, eccetera), è una burla che riesce sempre . Ed è uno spasso stare a sentire l’elencazione dei “sentori, della morbidezza, della pienezza, del retrogusto, dell’avangusto e tutte le dovute menate del caso. Poi, se uno si sente in vena di cattiverie trae da uno stipo la bottiglia originale lasciando così l’amico di princisbecco. Se invece non vuole maramaldeggiare, lascia che beva tranquillo. In una di queste occasioni, vedendo che non solo non procedevo alle manfrine solite, ma nemmeno bevevo a sorsettini, l’amico mi fece: “Lo sai che tu non sai proprio bere? Ma come puoi buttar giù questo nettare come se fosse, che so?, una qualsiasi Barbera?”. Lo era, una Barbera. Qualche anno fa lessi sul (prestigioso) Le Monde che nel corso di una esibizione di sommeliers dilettanti (ma non per questo meno spocchiosi) tenutasi in una Foire aux vins di Provenza, di tre dei dieci non seppero nemmeno distinguere, ovviamente da bendati, un rosso da un bianco. Su venti bottiglie da degustare per individuarne il contenuto - origine, gradazione, invecchiamento, l’abbiccì, insomma - i dieci enofili non ne distinsero alcuna. Se indovinavano l’origine sballavano sull’invecchiamento, se invece imbroccavano l’invecchiamento cannavano sulla gradazione. Questo quando andava bene. Se invece andava male, non azzeccavano una sola delle tre caratteristiche. Con questo non voglio negare che ci siano dei veri competenti per i quali i vini non hanno misteri, ma i più sono dei fanfaroni, come lo è il degustatore del film “No Problem” che trova sublime il Tavernello credendolo un Chateaux qualcosa. E già, magari dò un’idea al produttore. Non che ne abbia bisogno, perché il suo vino, buono, ha molto successo. Tuttavia, se lo chiamasse Chateux du Tavernel potrebbe avere l’occhei anche da quegli snobboni del Gambero Rosso, gran bevitori di etichette.

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