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Il Giornale

Il mondo è molto più bello visto dal fondo di un bicchiere ... Nel “Taccuino di un vecchio bevitore” il geniale Kingsley Amis racconta tutto quanto c’è da sapere sulle gioie e i dolori racchiusi in una bottiglia... Per Omero il mare era
color del vino. Per
William Shakespeare
il primo principio
umano da insegnare
ai propri figli dovrebbe essere
“quello di rinnegare i liquori
leggeri”.E gli esempi di metafore o inni alcolici sparsi per la letteratura
di ogni epoca potrebbero
proseguire all’infinito.
Così imbattendosi nel Taccuino
di un vecchio bevitore di
Kingsley Amis (BaldiniCastoldi
Dalai, euro 18, pagg. 284) si
potrebbe avere l’impressione
di incontrare l’ennesimo libro
che si inserisce in questo ampio e liquido filone di
scrittura.
Ma Amis, excuse-moi Sir
Amis, vedendo etichettare così queste sue prose,
scuoterebbe
la testa. Anzi alzerebbe le
spalle e andrebbe a cercarsi un
pub per farsi un goccetto.
Il geniale autore inglese
scomparso nel 1995 e a cui si
debbono libri come Jim il fortunato
e Quell’incerto sentimento
aveva, infatti, la tendenza a
mantenere separata la pagina
dalla bottiglia (quando beveva
non scriveva e viceversa). Certo,
nei suoi romanzi ci sonoscene
alcoliche memorabili, come quella
del doposbronza in
Jim il fortunato, ma quelli sono
sprazzi di realismo autobiografico
che sfiorano la pagina (le
sbronze di Amis sono leggendarie).
Invece nel Taccuino c’è qualcosa
d’altro. C’è il “distillato”
di una vita di studio sull’arte
del bere. E non uno studio
astrattamente teorico, bensì
uno studio fatto sul campo con
il piglio dell’alchimista-umanista
che cerchi nella convivialità
del bicchiere la sua pietra filosofale.
Niente di letterario,
quindi, se non nella piacevolezza
della scrittura.
Già nella prima pagina c’è infatti una presa
di posizione sociologica:
“Il bere produce per
la collettività benefici sociali di
gran lunga superiori rispetto ai
danni che può causare”. E da
quella presa di posizione deriva tutto:
lo studio, in ogni dettaglio,
di come rendere più solida
la fratellanza tra gli individui
facendogli consumare la
maggior dose di alcol possibile
con il minor numero di danni
possibili e la minor spesa possibile.
Ecco perché il capitolo sui
coktail sta alle feste come il Digesto
sta al Diritto romano. Ecco
perché i consigli sulle “attrezzature” da bar o su come
scegliere i vini sono infinitamente superiori,
quanto a realismo,
rispetto a quelle che potreste
trovare in qualsiasi manuale.
Ma non basterebbe questo a
rendere il Taccuino meraviglioso
al lettore. C’è un capitolo,
“Gli effetti della sbronza”, diviso con piglio aristotelico in
“Fisica del giorno dopo
”e “Metafisica
del giorno dopo” che rappresenta lo stato dell’arte della
meditazione filosofica sugli esiti morali e materiali dell’ubriachezza,
soprattutto se molesta.
Ed è lì che Amis dimostra
di staccarsi dal compiacimento
letterario verso gli eccessi.
Guardagli effetti dell’alcol con
occhio lucido, ne riconosce gli
spiriti celesti ma anche i demoni.
E per curare i demoni suggerisce
anche un bel pacchetto
di letture che facciano sentire
meglio: a partire da Una giornata di Ivan Denisovic
di Aleksandr
Solzenicyn. Perché proprio questo libro?
Perché “il resoconto della vita in un campo
di lavoro russo vi servirà a ricordare
che in giro c’è un mucchio
di persone che fa fronte a
un’esistenza maledettamente
peggiore... di quella con cui voi
avete a che fare”.
Ed è nella capacità di mantenersi
sempre in funambolico
equilibrio tra umorismo british,
erudizione, esperienza e
serietà che questo libro che diverte persino quando ci
regala
la ricetta del disgustoso “The tigne
rose” (imbevibile beverone
ottenuto mischiando gin,
whisky, rum, vodka e brandy)
che si riconosce il genio dell’Amis
scrittore.
In altre parti il ritmo invece si
perde un po’ e prevale il gioco
erudito come nella terza sezione del libro:
“Come va la cultura?
”. Ma anche dove il ritmo
scema nel raccontare l’arte del
bere Amis racconta se stesso, il
suo esercizio acrobatico per
mantenere in equilibrio vita,
scrittura e alcol. Chi conosce la
sua biografia sa che alla fine il
trucco non gli riuscì. Ma anche
in questo caso Amis non gradirebbe
finali scontati frasi tipo:
“L’alcol prevalse sul talento”.
Proprio nel taccuino c’è una
frase illuminante scritta dopo
essere stato settimane senza
bere: “Quando bevevo potevo
dar la colpa all’alcol per tutte le
cose che non andavano, poi
potevo incolpare solo me stesso
”. Ed il vero bevitore sa che è
quel senso di colpa, così sottile
insensato e immateriale, che
uccide gli uomini. Che per farlo usi la bottiglia,
una lametta o
un’automobile lanciata nella
notte è accidentale.

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