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Il Giornale

Moretti, una vita in Bellavista ... L’importanza di chiamarsi Vittorio, la storia di un costruttore che ama le bollicine. Tanti successi e un cruccio: “In Italia c’è ancora un’ignoranza incredibile sul vino”... Tre volte Vittorio: Vittorio Feltri ha curato infatti per gli Illustrati Mondadori “L’importanza di chiamarsi Vittorio” ovvero “La storia di Vittorio Moretti”, l’hidalgo di Franciacorta, dal titolo dell’introduzione così come un altro Vittorio, Sgarbi, ci ricorda che in Moretti vi sono “Un nome, un destino”. E poi Gianni Brera, per via di un ritratto inedito che il grande giornalista e scrittore lombardo, scomparso nel dicembre ‘92, fece di Moretti senza mai pubblicare. L’aveva intitolato “La riva materna”, ma nel libro appena uscito è presentato come “Morettiade”. Bisogna infatti sapere che il patron della cantina Bellavista (e di tante altre attività, anche edili e cantieristiche, tra la Lombardia e la Toscana) dedicò a Giuàn Brera ancora vivo il vino Zuanne, Giovanni in dialetto, il bianco del convento dell’Annunciata poco lontano dalla Franciacorta.

Moretti, “toscano per nascita (aprile 1941, ndr), milanese per formazione, franciacortino per elezione e per scelta”, ricorda con orgoglio di quando iniziò muratore (“Nella mia famiglia si congiungono due fiumi: quello dei costruttori e quello dei contadini, costruttori fin dal 1400, ci sono le carte”) e nel ’67 fondò la prima impresa puntando tutto su un elemento ben preciso: il prefabbricato “che non vuole mica dire precotta, come un pane senza fragranza”. Dieci anni dopo, 1977, la passione per il vino diventa una cosa seria grazie in Franciacorta all’azienda Bellavista e, sempre nel segno dell’anno sette, ecco nell’87 la Contadi Castaldi, sempre in Franciacorta, e nel ’97 Petra a Suvereto in provincia di Livorno. Il cantiere navale è invece dell’85. Ne uscì il maxi yacht Carmen di Bellavista, nome che celebra la primogenita e la prima cantina. Moretti gareggiava nel circuito più miliardario al mondo e si distingueva perché era l’unico armatore dai modi umani, normali. Non se la tirava per capirci, in posti come Portofino.

Vittorio - e il libro lo ricorda - ha saputo intrecciare la sua vita e il suo lavoro (“Tiro su i muri e guardo che siano diritti”) con personaggi fuori dal comune, capaci di lasciare una traccia, da chi ha contribuito al libro all’architetto Mario Botta che ha firmato la cantina Petra e la nuova area Campari a Sesto San Giovanni, nella prima Moretti ci mette l’uva e nella seconda i mattoni. Di Botta dice: “C’è qualcosa in questo ticinese delicato e tosto del genio di Le Corbusier”. Mattia Vezzola invece è lo spumante fatto uomo: “L’ho conosciuto nel 1979 e aveva ventotto anni. Uno grande, un talento in procinto di esplodere, un Ronaldo giovane. Secondo me è un Nobel delle bollicine”. Poi ci sono due cuochi, un italiano e un francese, Marchesi e Ducasse. Di Gualtiero ha detto: “È venuto a Erbusco nel ’93 a lasciare il segno del suo genio, il sigillo d’oro della cucina dell’Albereta”. Di Alain invece, chiamato a Castiglione della Pescaia nel 2001, ricorda come “aveva stabilito di non portare mai in Italia il suo genio di cuoco supremo, ma poi si è lasciato sedurre e ha firmato l’Andana, un boutique hotel”, e in seguito pure la Trattoria Toscana, dove si mangia toscano meglio che in tanti finti posti per turisti. Libro sotto forma di chiacchierata, ci permette di conoscere un italiano che ha saputo creare una grande realtà dai più volti. Rimanendo tra le botti, prima le bollicine, più vicino a noi i rossi toscani. La bottiglia di Bellavista la riconosci senza bisogno dell’etichetta, ricorda il collo delle donne di Modigliani: “L’ho disegnata io, insieme con quel ragazzo che sta con me da più di trent’ anni, Leonardo Pedrali, franciacortino. Krug ci ha fatto causa e l’ha persa. Non ho rubato niente, è certificato. Non sono un parassita che succhia le ruote. Mi piace prendere il vento in faccia”. Con un grande cruccio: “Purtroppo in Italia c’è ancora un’ignoranza incredibile sul vino”. Una sfida per le tre figlie.

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