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Il Giornale

Treviso e Catania, le nuove capitali del vino ... Ecco i promossi e i bocciati della manifestazione di Verona. Brillano le produzioni di Veneto e Sicilia. In crescita la qualità dei vitigni in grado di garantire prodotti di eccellenza molto apprezzati, specie dal mercato estero... L’una è nel profondo Nord-Est, l’altra è in Sicilia. Treviso e Catania le nuove capitali del vino italiano, città portabandiera di territori attraverso i quali passa il rilancio della nostra enologia che convince più il consumatore straniero che quello italiano. Treviso vuol dire Prosecco di Valdobbiadene e Conegliano, modello di successo anche da un punto di vista industriale. Catania è la testa di ponte di un movimento, quello siciliano, che non smette di sorprendere per la capacità di coniugare tipicità e immagine. E sono proprio i vini dell’Etna, minerali e sapidi, l’ultima frontiera dell’isola, tanto che grandi produttori hanno acquistato vigneti alle falde del vulcano. Questo mentre Firenze, una delle capitali storiche del nostro vino con Torino, soffre l’appannamento del Chianti. Treviso e la Sicilia tutta sono anche importanti mete per gli enoturisti, coloro che amano viaggiare a caccia non solo di bellezze ma anche di bontà. Una tendenza che, secondo un recente studio dell’Osservatorio del turismo del vino, riguarda dai 4 ai 5 milioni di italiani, che nel 2010 hanno speso dai 3 ai 5 miliardi per fine settimana all’insegna del gusto. Affollando anche Verona e la Valpolicella, Siena e Montalcino, Perugia e Montefalco, Lecce e il Salento, la Maremma, le Cinque Terre. Un movimento importante, che potrebbe diventare ancora più importante per il brand Italia grazie all’accordo siglato ieri al Vinitaly di Verona dal ministro per il Turismo Michela Vittoria Brambilla e da quello delle Politiche Agricole Saverio Romano. Il protocollo ha durata biennale (rinnovabile per altri 2 anni) e vuole valorizzare il sistema attraverso distretti turistico-alimentari a livello nazionale, che riguarderanno nuovi itinerari d’eccellenza. “Turismo e agroalimentare sono due asset strategici per il nostro sistema Paese”, ha constatato Brambilla. “Intendiamo elevare - ha promesso Romano - le eccellenze dell’agroalimentare italiano sullo stesso piano del vino, facendole diventare uno strumento di marketing, di accoglienza e di valorizzazione strategica dell’intera economia”.

Valle d’Aosta. 1 doc, o docg, produzione 21.000 hl. Stabile. La più piccola regione italiana conferma la minuscola ma ricercata produzione da vitigni superautoctoni bianchi (de Morgex) e rossi (Fumin). Di nicchia.

Piemonte. 43 doc, 12 docg, prod. 2.480.000 hl. Sale. Gloria dei grandi rossi come
Barolo (soprattutto il Marecenasco 2006 di Renato Ratti). Soffre solo il Moscato d’Asti. Trionfale.

Liguria. 8 doc, o docg, produzione 84.000 hl. Stabile. Produttori abbarbicati alle colline vista mare coi bianchi aromatici e il rossese di Dolceacqua che “piemontesizza”. Eroica.

Lombardia. 15 doc, 4 docg, produzione 1.076.000 hl. Stabile. Tre aree molto diverse (Franciacorta, Oltrepò Pavese, Valtellina), qualità indiscussa, ma le mode prendono altre strade. In attesa.

Veneto. 25 doc, 6 docg, produzione 7.455.000 hl. Sale. Trainata dal boom del Prosecco
e della Valpolicella, la prima regione produttrice italiana esce trionfatrice da questo Vinitaly. Fattore casa.

Trentino Alto Adige. 8 doc, 0 docg, produzione 1.158.000 hl. Scende. Due regioni in una. Dopo anni di grande spolvero, risentono un po’ delle mode, che privilegia vini meno perfettini. Battuta d’arresto.

Friuli Venzia Giulia. 9 doc, 2 docg, produzione 601.000 hl. Stabile. Il Tocai non si chiama più così (è diventato Friulano) ma i bianchi dell’estremo oriente d’Italia continuano a piacere. Bello stabile.

Emilia Romagna. 20 doc, 1 docg, produzione 6.599.000 hl. Stabile. Sorpresa: nei supermercati tira molto il Pignoletto, autoctono outsider. Un successo che compensa le difficoltà. Cercasi qualità.

Toscana. 36 doc,7 docg, produzione 2.80.000 hl. Scende. La Francia d’Italia risente dell’onda lunga dello scandalo Brunello di qualche anno fa e della crisi del Chianti. Blackout.

Marche. 15 doc, 2 docg, produzione 871.000 hl. Stabile. Il Verdicchio non smette di sorprendere e traina il movimento, i rossi (Conero, Piceno) continuano a piacere. Stand-by.

Umbria. 11 doc, 2 docg, produzione 988.000 hl. Stabile. A volte sembra come quegli studenti svogliati: potrebbero fare di più ma non si applicano. In controluce.

Lazio. 26 doc, 1 docg, produzione 2.139.000 hl. Sale. Qualcosa è cambiato. Il successo del Cesanese, prima docg regionale, segna la strada di un movimento di qualità. Eppur si muove.

Abruzzo. 4 doc, 1 docg, produzione 3.054.000 hl. Sale. Finalmente l’Abruzzo sta riscuotendo i successi che merita. E il Montepulciano è entrato nel novero dei grandi. Fiorito.

Molise. 3 doc, 0 docg, produzione 319.000 hl. Scende. Miniregione di scarsa identità, incerta tra i modelli delle regioni limitrofe. Soffre l’assenza di un grande vitigno autoctono. Piccola.

Campania. 17 doc, 3 docg, produzione 2.062.000 hl. Sale. Da anni l’enologia campana va di moda. Bianchi di qualità e ora anche qualche rosso ambizioso. A prezzi ottimi. Arrembante.

Puglia. 26 doc, 0 docg, produzione 343.000 hl. Sale. Qui al Vinitaly il suo e uno dei padiglioni più visitati e vivaci. Merito di un rapporto qualità-prezzo da applausi. Futuro rosa.

Basilicata. 3 doc, 0 docg, produzione 245.000 hl. Sale. Celebrata da riviste internazionali. Si avvantaggia di un vino-manifesto come l’Aglianico del Vulture, il Barolo del Sud. Vulcanica.

Calabria. 12 doc, 0 docg, produzione 503.000 hl. Stabile. Beneficia fino a un certo punto della rinascita del meridione, pur potendo vantare ricchezza di vitigni autoctoni. Impolverata.

Sicilia. 22 doc, 1 docg, produzione 6.999.000 hl. Sale. Sembra non finire mai il rinascimento enologico della Sicilia, qualche anno fa passata per i vitigni internazionali. Infinita.

Sardegna. 19 doc, 1 docg, produzione 966.000 hl. Sale. Altra regione in procinto di
esplodere nel mondo, secondo Robert Parker. Il suo isolamento rende i suoi vini unici. Cannona(u)ta.

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