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Il Manifesto

Sandro Chia - Cocktail di Brunello e video. Magia di pixel tra botti di vino ... Parla del mito di Enea, di Trotsky e della rivoluzione permanente, del ’68, tutte matrici di quella che definisce una “fissazione per l’immagine, una specie di sana malattia”, che lo ha portato ad avventurarsi anche nel mondo digitale dei pixel. In mezzo alle sue grandi tele, nello studio-hangar nel cuore di Trastevere, tra acrilici e oli, pennelli, Sandro Chia muove piano le dita ancora “sporche” di colore, sul mouse di un mini power book G4. Cerca le sue opere video. Ne ha realizzate una decina, dagli esordi a metà Anni ’70 ad oggi. E mentre lui si sposta assorto in questo “antro” a forte impronta minimalista, metà loft e un po’ sala di regia (vive per metà dell’anno a New York), le “icone” sul piccolo schermo si schiudono. Ecco Self Portrait, girato 3, 4 anni fa per una serie andata in onda su RaiSat Arte, Cortona, anno 2003, con musiche autografe fatte al computer, e poi Love Conquers, Miami L.A., The Stranger, Movie.
“Considero il computer uno straordinario strumento, un giocattolo - dice -, l’uso del video rientra nell’attenzione, anche fissazione che ho per l’immagine e per una naturale disposizione a notare, poi c’è la curiosità di quello che succede quando si usa l’immagine, quando si manipola, quando ci se ne appropria”.
Il primo tentativo risale al 1975, su stimolo di Maria Gloria Bicocchi nella natìa Firenze. “The Novelles Songer” dura pochi minuti: una cantante nuda viene ripresa in una sala spoglia. “Eravamo in piena arte concettuale”, quasi si giustifica.
Esponente a inizi Anni ’80 della Transavanguardia, insieme a Cucchi, Clemente, De Maria, Paladino, oggi Sandro Chia è più che mai convinto che l’immagine, “dopo un frangente di negazione”, ritorna in maniera ineluttabile “nuova e diversa”. E si vede. Il mini-portatile ora rimanda quello che lui stesso definisce un “impasto”, molto pittorico, di frammenti video.
Il richiamo esplicito è al futurismo, Balla e Boccioni, ma anche a Picasso: “Il movimento è scomponibile, quale organo crea deviazioni dell’immagine e la ricompone di continuo se non l’occhio e il cervello?”. Nel video Chia dipinge i margini di un piccolo schermo di computer, surreale “cornice” in silicio nella quale scorrono frames di suoi quadri, lui col pennello, colori, la natura, alberi, acqua che scorre, musica percussiva o indiana, in sottofondo parole (“in pittura il tempo è curvo…”). E poi c’è un Buddha bassorilievo sdraiato sul margine inferiore dello schermo, dietro il traffico di New York, il volto di Chia che diventa quello di un quadro, identico, poi il colore digrada in bianco e nero verso un’espressione speculare opposta, nuovamente in movimento. Suggestioni, emozioni, tinte rarefatte, bagliori.
“Uso il video non in modo didascalico, più che visualizzare un lavoro fatto, il tentativo è di fare un lavoro sul lavoro - racconta a proposito di un’opera per l’università di South California, dove ha realizzato un grande murale -, un documentario non documentario, molto involuto, descrittivo, ma risultante di un lavoro altro. L’idea musicale è quella che conta, sono come i momenti di un jazz, in cui a un certo punto uno strumento ha un suo assolo”. Pittura, disegno, scultura, video possono incontrarsi: “gravitano tra loro, si riflettono, ma preferisco che restino indipendenti ed abbiano vita propria”.
Una filosofia alla base anche della grande installazione multimediale che Sandro Chia sta per realizzare a Montalcino nella sua nuova cantina tra i vigneti del Brunello, al Romitorio, castello del 1100 dove abita quando non è in America o a Roma. Una “caverna” di 1700 metri quadrati, scavata a 10 metri di profondità: oltre a bottiglie d’autore, ci saranno schermi, mosaici, sculture, una grande vetrata e un portone in bronzo, bassorilievo “un po’ come a Firenze, la porta del battistero, cinematografico, come delle vignette che raccontano una storia…”.
La narrazione, una costante. “Un quadro, come il vino, crea la condizione mentale per raccontare una storia…”. E così è per la scultura. L’ultima, collocata solo tre mesi fa alla Garbatella, davanti alla sede della Regione, raffigura Enea, il mito della progenie del Lazio, con il padre sulle spalle e il figlio Ascanio per mano. “A differenza di Ulisse, lascia la sua casa con la consapevolezza che non potrà più farvi ritorno. E’ l’idea del migrante, Enea arriva dall’attuale Turchia, incontra gli etruschi: lui e il padre parlano ancora troiano, il bambino parla latino…”.
La prossima grande e importante scultura in bronzo, invece, Chia la realizzerà entro l’anno a Ground Zero, a New York, lì dove sorgevano le torri gemelle: un comitato e il sindaco Bloomberg gli hanno chiesto di commemorare i vigili del fuoco delle Twins Tower con un monumento per i duemila anni del corpo dei pompieri, creato da Augusto imperatore nell’anno 6 dc. La statua, alta 4 metri e mezzo, avrà un segno classico, come l’Enea a Roma. “Sarà come un disegno fatto mentre sei al telefono, su un foglio di carta, come un appunto: 6, 2006, Augusto…, da un lato e sull’altro c’è uno schizzo, avrà il carattere di un bozzettone”. L’immagine, che per Chia è tensione ideale a “riempire un vuoto” e a sconfiggere “la morte dell’espressione”, troverà così posto anche nel cuore di un’America dove ora “è tornato pericolosamente il nazionalismo”.
Chia viene dal ’68: “L’ultima possibilità di rivoluzione, anche molto autodistruttiva, che ha lasciato un sistema di anticorpi che ci tiene ancora vivi”. E così, dopo il ’68, come accade ad Enea, l’artista “può solo andare avanti, perché dietro ha una storia andata male: scoprire nuovi territori diventa un destino”. Del “comunismo, un desiderio, un’utopia superiore alle capacità umane, come il cristianesimo e la democrazia, e di cui si sono perse le radici”, in Chia sopravvive “la volontà personale di fare proprio quel sogno, di creare una condizione per una liberazione di sé stessi e degli altri, ben sapendo che la rivoluzione è continua, permanente, come sosteneva Trotsky”. E le sue opere, spiega, attraversano il tempo lungo un filo invisibile di ricerca. “E’ bello - confida - quando c’è una conferma della riconoscibilità dell’immagine, lo strumento cambia però alla fine l’immagine torna a se stessa ed è riconoscibile, credo, come mia”.
E il rapporto con l’immagine femminile? “La donna non mi va di pensarla come una musa - risponde - il rapporto con la donna è il rapporto che l’uomo ha con la pittura, il video, la scultura. Attraverso una donna ci si trasfigura, in un rapporto che deve restare misterioso”. Come i sogni, le immagini della notte. “Sì, a volte ho anche sognato, ma sono arrivato alla conclusione che io non ho necessità di sognare, perché già sono nel sogno…”.

La cantina delle alchimie
“Ho del materiale sulla vendemmia, sul lavoro della produzione del vino, poi ci sono anche riprese della costruzione della cantina, questo scavare, entrare nelle viscere della terra, è come una caverna, che serve a proteggere il processo e il prodotto…”. La nuova cantina multimediale di Sandro Chia, tra i filari di Brunello al Castello Romitorio, vicino a Montalcino, sarà pronta a novembre 2006. “Il video sarà accoppiato al mosaico - anticipa -: il pixel, come una tessera che l’occhio fissa e ne ricava un’idea di immagine”. Poi spiega: “Ci saranno immagini fisse, ferme, più o meno immutabili, che vorrei accoppiare a delle immagini in movimento, con l’idea di chiudere un cerchio, poi l’immagine ferma si mette in movimento e quella in movimento si stampa nella memoria, come se fosse ferma. E’ indecidibile ciò che sta fermo e cosa in movimento, è un po’ come il vino…”. Chia ama molto il Brunello e la nuova struttura. “Secondo me è molto archetipo - dice -, un luogo di alchimia, di cose che controlli, ma fino a un certo punto, c’è sempre l’imponderabile. E’ un gioco di scatole cinesi: dentro la bottiglia, dentro la botte: ci sono tanti interni, un mondo che si evolve, si condensa, si sublima, si distilla. Acquista una sua personalità e produce questa macchina per pensare, ragionare che è il vino. Processi che hanno sempre accompagnato l’uomo - conclude -, il vino esiste nella mitologia, come l’olio, la pittura, elementi primordiali, dei buoni compagni per l’uomo, nel senso dell’umanità”. (arretrato de Il Manifesto del 18 febbraio 2005)

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