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Il Mattino

Nuove manie - Fare il sommelier, che hobby di vino ... Gianni Brera, Gino Veronelli, Mario Soldati: solo loro tre scrivevano ogni tanto di vino sui giornali. Era il secolo scorso, sembra un secolo fa. Oggi si va in edicola e si ha solo l’imbarazzo della scelta tra decine di pubblicazioni specializzate. Oggi Antonio Albanese prende in giro in tv l’aspirante sommelier roteando il bicchiere. Oggi l’Hilton di Roma, dove hanno sede l’Ais Roma e la redazione della rivista Bibenda, è uno dei centri di cultura enologica più importanti d’Europa. Oggi sono circa 30mila gli iscritti all’Associazione Italiana Sommeliers e il turn over annuo ai corsi è di almeno 7mila persone.
Non sono state necessarie molte vendemmie per assistere a questa rivoluzione culturale. «Tutto è iniziato circa dieci anni fa - ricorda Franco Ricci, presidente dell’Ais di Roma, uno dei motori di questo cambiamento - e i protagonisti sono stati soprattutto i giovani e le donne. Certo i primi volti noti che hanno frequentato i corsi come Bruno Vespa, Ettore Scola hanno fatto tendenza e accelerato il processo».
Una moda? Forse. Di certo un cambiamento totale nel rapporto con il vino: fece epoca ad esempio la scelta del Consorzio del Montepulciano di Abruzzo di puntare su Kay Rush, nota soprattutto ai giovanissimi telespettatori di DeeJay Television, per fare pubblicità. Un segno dei tempi dietro i quali non c’era solo immagine perché Kay era già sommelier diplomata. Come Antonella Clerici nata nelle trasmissioni sportive e oggi popolare conduttrice della «Prova del Cuoco» su Rai Uno.
Cosa si studia nei corsi Ais? Nel primo livello soprattutto la tecnica di degustazione; nel secondo la vite e il territorio; il terzo, al termine del quale si ottiene il diploma, l’abbinamento con il cibo. C’è poi un quarto livello per diventare sommmelier professionista e ulteriori master di specializzazione per affinare naso e palato. «Fare questi corsi - spiega il vicepresidente nazionale dell’Ais Vincenzo Ricciardi - serve anzitutto ad acquisire un linguaggio preciso per comunicare le sensazioni e le valutazioni. Poi sicuramente è una opportunità di lavoro».
Saper bere e spiegare il vino è diventato un must, chi non ne sa niente non ha più motivi di vantarsi perché viene immediatamente declassato, un po’ come accade negli Usa quando uno si dichiara fumatore. «Il vino è percepito come qualcosa di elegante». Parola di Gelasio Gaetani D’Aragona dell’azienda Argiano a Montalcino, che ha rivoluzionato il modo di percepire il vino in tv da Maurizio Costanzo: «Prima i giovani guardavano alle auto di lusso, adesso andare nei wine bar è un modo per stare bene, sedurre e affabulare. Per questo ci si iscrive ai corsi».
Una moda? «Anche ma non solo - osserva Alessandro Regoli, l’uomo Winenews.it, il portale del vino che vanta 7mila utenti registrati - Se ne parla un po’ troppo e a sproposito. Nel wine and food ci si stanno buttando tutti perché si è convinti che essendo cose belle sono facili da capire e da spiegare. E invece è il contrario: o c’eri già dieci anni fa o si è improvvisatori. E questo i giovani lo percepiscono subito». Tra i primi a creare un sito internet, Regoli ha così seguito in rete il cambiamento: «Con il passare dei mesi ci siamo trasformati in una sorta di Ansa specializzata nel vino e il nostro lavoro cresce con il passare dei mesi, delle settimane addirittura».
Il mondo della comunicazione si è comunque organizzato, ma per essere credibile tutti hanno dovuto frequentare i corsi: «i giornalisti devono sapere bene cosa scrivono, i ristoratori e gli enotecari cosa vendono, i rappresentanti di vino devono conoscere tutto della bottiglia, dove nasce, chi la produce - afferma Ricci - e ciascuno ha così contribuito a moltiplicare il bisogno di informazioni. Questa è la chiave del successo, del boom scoppiato dal ’95 in poi».
Insomma, all’inizio erano gli appassionati top class e qualche vip. Poi è stata la volta dei consumatori qualificati e degli operatori più lungimiranti, adesso tocca a chi è nel campo dell’enogastronomia. «Ma sono soprattutto i figli, non i padri -incalza Ricci - ad esprimere questo bisogno e a capire la necessità di non restare tagliati fuori dal giro». La nuova frontiera? «Sicuramente l’olio» sentenzia Ricci.
«Sarà una moda, ci saranno esagerazioni, ma sono convinto che siamo di fronte ad un processo irreversibile, come è successo con i vestiti. E poi vedo proprio i giovani, i miei coetani, in prima linea. Questa è una buona assicurazione per il futuro». Così parlò Francesco Zonin, 28 anni, figlio d’arte, tre anni passati negli States a lavorare nell’azienda di famiglia ed ora al timone del commerciale. Forse per avere l’idea di come sia cambiato tutto bisogna parlare di soldi: prima l’Hilton sosteneva l’Ais con un contributo di un milione e mezzo l’anno, adesso i sommelier romani pagano alla direzione dell’albergo un miliardo e mezzo per mantenere i locali della sede e dei corsi. (articolo arretrato de "Il Mattino" del 9 febbraio 2003)

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