02-Planeta_manchette_175x100
Allegrini 2024

Il Mattino

Vino, scatta l’allarme per il caro etichetta ... Caro vino, ma quanto mi costi? E chi lo ha detto poi che la parmigiana di alici di Cetara va abbinata alla Falanghina o ad un altro vino campano? Anche uno chardonnay californiano della Napa Valley può andare benissimo come si è visto in una serata dimostrativa organizzata dalla multinazionale Gallo nel piccolo centro saraceno vicino Amalfi. Questione di gusto? Non solo, anche di prezzi. Sempre più alti quelli italiani, sempre più convenienti quelli dei paesi del Nuovo Mondo. Ogm a parte, ma questo è ancora un altro discorso. Intanto qui a Verona il mal francese, come qualcuno già lo definisce scherzosamente tra gli operatori, inizia a far capolino e preoccupa di più della misteriosa polmonite killer coperta dal silenzio stampa di Pechino: meno 14% in Inghilterra, meno 35% in Svizzera, meno 30% negli Stati Uniti. Queste sono le cifre della disfatta d'Oltralpe prima ancora che Chirac cominciasse ad essere chiamato Ch'Iraq dagli americani in vena di neo-protezionismo patriottico. Non è difficile individuare la causa: la media dei prezzi francesi ormai è troppo alta.
E l'Italia? «E' il tema del giorno - afferma convinto il guru del vino-frutto Luca Maroni - perché ormai il prodotto italiano non ha bisogno di conferme. Ma in molti stanno creando gravi problemi perché operano rialzi assolutamente non giustificati».
Una ricerca di Nomisma evidenzia i cambiamenti di mercato in arrivo: entro il 2005 la quota di produzione mondiale totale di vino esportato supererà il 28% del volume e il 39% del valore perché i flussi commerciali ormai non coinvolgono solo l'Europa e il Nord America ma tutto il mondo. Diversi analisti si attendono che l'Australia triplichi le proprie esportazioni nei prossimi cinque anni durante i quali la Nuova Zelanda li raddoppierà. Il problema è alla radice: Italia e Francia hanno una realtà troppo frazionata. Basta pensare che la quota di produzione delle prime cinque aziende in Francia è al 13%, in Italia siamo al 5%, in Spagna al 10%. Bene: negli Stati Uniti le prime cinque coprono il 73% della produzione, in Nuova Zelanda l'80%, in Argentina il 50% e in Cile il 47%.
Il primo a lanciare l'allarme è stato Ezio Rivella, presidente dell'Unione Italiana Vini, la Confindustria del settore per capirci: «In Italia non ci sono più di 20 aziende capaci di fissare i prezzi a proprio piacimento. Le altre li alzano per sentirsi importanti, ma corrono il rischio di andare incontro a gravi delusioni quando il mercato deciderà di fare piazza pulita».
Un aspetto che non è sfuggito al presidente della regione Veneto Galan che lo ha rilanciato nel suo intervento durante l'inaugurazione di questa edizione del Vinitaly. Una cerimonia benedetta dal ministro Alemanno, nemico degli Ogm e accusato nel centro destra per il suo flirt, ma ormai è un fidanzamento, con Slow Food.
Alemanno ha fatto felice il neopresidente dell'Ente Fiera Luigi Castelletti ribadendo il ruolo centrale di Verona come punto di riferimento nel sistema fieristico in Europa e ha annunciato a sorpresa che il sistema dei controlli delle doc e delle docg va affidata ai Consorzi di Tutela per un periodo transitorio.
Una scelta resa pubblica durante la presentazione del Consorzio di Tutela dei Vini d'Abruzzo, destinato a diventare uno dei più grandi d'Italia. La Campania ha risolto alla radice questo tema che divide l'Italia: nessuno è stato in grado di organizzare in dieci anni neanche uno straccio di consorzio. Forse anche per questo i prezzi dei vini regionali non si riescono a controllare più.
Comunque per il più grande produttore italiano non è ancora allarme rosso: «I prezzi dei vini italiani di buona qualità non sono alti rispetto ai corrispettivi degli altri paesi. L'eccezioni non mancano, qualcuno pensa che basta passare in legno un po' di rosso e chiedere qualsiasi cifra. Ma si tratta di piccole aziende che fanno notizia ma non numero». Gianni Zonin dixit.

Alemanno: il settore vale 7 miliardi

Il settore vitivinicolo italiano oggi rapresenta un valore di circa 7,2 miliardi di euro e rappresenta un pilastro chiave dell'agroalimentare. Basti pensare che dal 1990 al 2002 il saldo attivo commerciale del vino è passato da 760 milioni a 2,6 miliardi di euro. «Nel 2001 - ha detto il ministro Alemanno - l'Italia è riuscita ad ottenere finanziamenti per circa 220 milioni di euro che hanno consentito di ristrutturare oltre 35mila ettari di vigneto». Ormai il 60% dei vini doc e docg è esportato.

Copyright © 2000/2024


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024

Pubblicato su