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Il Mattino

Salone del Vino - Vini italiani, il rilancio è vicino ... La crisi morde, eccome se morde. Tanto da essere il piatto forte di questa quarta edizione del Salone del Vino: analisi di mercato e vitigni autoctoni sono le risposte per cercare di uscire da una situazione sempre più difficile in cui non mancano accuse e recriminazioni. I campani presenti al Salone non sembrano avvertire problemi, per alcuni di loro è un momento magico come il trebicchierato Pietracupa, per non parlare di prodotti consolidati come il Fiano di Villa Diamante, l’Aglianico del Taburno di Fattoria La Rivolta, il Gravae More di Fontanavecchia, il Casavecchia di Vestini Campagnano, Impeto di Torre del Pagus, davvero un piccolo grande affare per il rapporto tra la qualità e il prezzo. E crisi non l’avvertono nemmeno i produttori lucani arrivati in massa per vendere Aglianico del Vulture a gogò. Ma queste sono piccole produzioni nell’ambito del sistema Italia che complessivamente segna alcune battute a vuoto anche a causa dell’impennata dell’euro nel cambio con il dollaro e dello stato depressivo in cui è precipitata l’economia tedesca. «Io credo che serve molta modestia. Guardiamo in faccia alla realtà: noi italiani siamo visti nel mercato anglosassone come vinificatori etnici» commenta sul filo della realistica ironia le difficoltà di vendita attraversate dal mondo del vino dopo il grande boom degli anni '90, Marco Caprai, produttore di Sagrantino di Montefalco. Insomma, ricominciamo con un po' di umiltà. Un sostegno positivo può venire, suggerisce il presidente di Confagricoltura Augusto Bocchini da «nuove strategie di promozione e soprattutto con nuovi strumenti finanziari, assicurativi e fiscali». Sono stati proprio i primi singhiozzi provenienti dall’estero ad avere come contraccolpo il calo della domanda interna. «Non è vero - dice Caprai - che le nostre etichette importanti costano troppo, siamo sempre ad almeno un terzo di quel che chiedono i grandi francesi e californiani. Il problema è che manca l’investimento sulle figure professionali che dovrebbero proporre il prodotto nei ristoranti di fascia alta». I dati presentati ieri al Lingotto da Gian primo Quagliano, direttore dell’Osservatorio del Salone del Vino, sono molto chiari: i prezzi negli ultimi anni sono cresciuti ben al di là del tasso di inflazione, più di ogni altro genere alimentare, i consumi di vino sono arrivati ai minimi storici anche se adesso i primi indicatori segnalano un rallentamento di questa tendenza, premonitore a una inversione. Non a caso sei buyers su dieci intervistati per il sondaggio si dichiarano ottimisti per il 2005 e investono sulla ripresa dei consumi. Ma il consumatore è ancora molto attento: sempre secondo la stessa ricerca la gente è disposta a spendere per una bottiglia di vino 4,5 euro, il dato dello scorso anno era di poco meno di 5 euro, 4,8 per la precisione. La festa è finita, aveva detto proprio al Lingotto l’Avvocato qualche anno fa. Per il vino italiano potrà ricominciare solo dopo aver smaltito questa bolla speculativa in stile New Economy che lo ha gonfiato oltremisura.

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