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IL MERCATO DELLE BARBATELLE? A RILENTO, COME QUELLO DEL VINO. TRA 2009 E 2010 -25% SUL 2008. E PER IL FUTURO SI PUNTA SUL “BIANCO”. INTERVISTA AD EUGENIO SARTORI, ALLA GUIDA DEI VIVAI COOPERATIVI RAUSCEDO, TRA I LEADER MONDIALI DEL VIVAISMO ENOLOGICO

Italia
Eugenio Sartori

Se Atene piange, Sparta non ride. E così se il mercato di un prodotto trasformato non gode di grande salute, anche quello della sua materia prima non può sorridere. Ragionamento perfettamente applicabile a quello delle barbatelle (-25% tra 2009 e 2010 sul 2008!), che risente delle difficoltà di quello del vino. Lo spiega a WineNews Eugenio Sartori, alla guida dei Vivai Cooperativi Rauscedo: “il mercato non sta andando bene, a parte alcune aree, come quella del Prosecco, che grazie all’estensione della Doc e alle vendite del prodotto che sono in crescendo sta vivendo un momento interessante, o altre aree dove si stanno piantando vitigni bianchi, come la Sicilia o il litorale tirrenico nelle zone del Vermentino, dove il mercato è discreto. Però tutto il resto del mercato Italia è condizionato dal difficile momento del mercato del vino. C’è una riduzione del consumo interno e grandi difficoltà nell’esportazione, che anche se è aumentata in volume, lo sappiamo tutti, ha visto il valore unitario del prodotto esportato inferiore al 2008, e quindi sia i viticoltori che i trasformatori stanno effettivamente guadagnando meno.
Quindi c’è una riduzione degli investimenti anche in barbatelle?
“C’è una riduzione degli investimenti generale, e preoccupazione da parte di tante aziende, anche ben posizionate sul mercato internazionale, perché non si sa bene quando l’economia ripartirà. Certamente anche il mercato vitivinicolo, e quindi anche il nostro delle barbatelle, è condizionato dalla situazione economica. La crisi finanziaria ha causato non pochi problemi in molti Paesi, e quindi anche le nostre esportazioni di barbatelle sono diventate più difficili, non solo per scarsa propensione agli investimenti del viticoltore, ma anche per problemi connessi alla concessione del credito da parte delle banche, problemi di incasso sulle vendite del vino e così via. Quindi siamo in una situazione dove l’economia ristagna, e c’è timore nel fare investimenti a lungo termine, perché poi il vigneto almeno 20-30 anni deve durare, e non si sa quale redditività possa dare. Tanti punti di domanda e poche certezze. Speriamo solo che questi scenari cambino, l’economia riparta e quindi torni anche l’ottimismo e la voglia di investire, e speriamo che quel messaggio dato da eminenti rappresentanti del settore vitivinicolo, e in particolare da Zonin, quando parla di bere consapevole, porti anche le autorità ad un atteggiamento diverso nei confronti del consumo di vino”.
Parliamo di numeri: quanto è il calo degli investimenti in barbatelle, e quindi in nuovi impianti?
“L’anno scorso c’è stata una riduzione del 15%, e sul mercato italiano non è stata neanche così grande, si pensava di arrivare anche a un -20%, e così non è stato. Però questa riduzione non si è fermata, e dobbiamo aggiungere un altro 7-8% in questo inizio 2010, quindi andiamo, nel complesso, intorno al 25%. Ma questo vale per la media italiana. Tenendo presente che in alcune aree c’è stato un aumento di domanda, o non ci sono state riduzioni, vuol dire che in certe zone il calo è andato dal 30% al 50%, addirittura, e questo è preoccupante. Vuol dire che in certe zone la propensione all’investimento viticolo è caduta, e siamo in una situazione di redditività negativa per tante aziende. E quindi uno si guarda bene dal fare nuovi impianti o dal rinnovarli, anche perché in viticoltura la fine di un vigneto viene dichiarata in funzione della redditività economica e di esigenze di cambio varietale, e quindi in momenti di incertezza economica si tende ad aspettare. Il vigneto continua a dare la sua produzione, che magari non sarà quella ottimale in quel momento, ma anche una nuova varietà quando entra in produzione potrebbe non essere apprezzata come si credeva quando si è fatto l’investimento”.
Abbiamo detto che non tutte le zone e i vitigni vanno male? Quale è il “borsino” delle barbatelle che vanno meglio?
In generale la richiesta è aumentata sulle varietà bianche e diminuita su quelle rosse. E nelle zone storiche più dedite ai bianchi c’è un interesse sia verso vitigni autoctoni che internazionali. Lo Chardonnay per esempio, lo scorso anno aveva una richiesta inferiore di quest’anno, come per il Viogner o il Sauvignon. Tra gli autoctoni, il Vermentino sta andando bene, come il Catarratto e il Grillo in Sicilia e il Prosecco, nel Nord-Est. Il Fiano, il Greco e la Falanghina hanno mantenuto delle posizioni interessanti, i Grechetti sono in aumento. Tutta una serie di varietà bianche, indipendentemente dal fatto che siano autoctone o internazionali hanno riscontrato un certo interesse da parte dei viticoltori. I rossi vanno peggio: il Sangiovese è poco richiesto, il Montepulciano ha avuto una flessione forte. E tra gli internazionali Merlot e Cabernet Sauvignon si piantano molto meno, per il Petit Verdot, varietà che era ritenuta miglioratrice di altri vini rossi, è quasi scomparsa la domanda.
Il domani della viticoltura sarà in “bianco” allora?
Il futuro del vino punterà più sui bianchi. Sui rossi bisogna produrre vini più facili, di gradazione inferiore, pur mantenendo una struttura interessante e una loro importanza. Quindi vini di più immediata soddisfazione e meno impegnativi, per poter fare mercato. Ci sono vitigni che stiamo sperimentando nel nostro centro sperimentale a livello di micro vinificazione, che nascono da incroci, come il Marsalan, Cabernet Sauvignon per Granage, che sta andando molto bene, ha dei tanni dolci, rotondi e piace molto ai Cinesi. O il Rebro, che origina vini molto fruttati. E poi c’è il Teroldego, che merita di essere più diffuso di quello che è adesso. E questi sono tre esempi di vitigni rossi che permettono di produrre vini più adeguati a quella che è l’esigenza del consumatore attuale”.

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