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Il Messaggero

E voi, di che “bianco” siete? ... D’accordo, ci sono anche gli astemi, e per loro si spalanca un mondo coloratissimo e refrigerante di bibite. Ma per i gourmet l’estate è il momento più bello per godersi le seduzioni dei vini bianchi. Mai come in questo momento, per giunta, l’offerta è seducente, con una crescita generalizzata della qualità delle nostre etichette e di un mercato internazionale davvero competitivo. E allora bianco sia. L’importante è non cadere nella trappola dell’abbinamento a casaccio, altrimenti il piacere va in gran parte a farsi benedire.
«Non c’è bisogno di essere provetti sommelier per mettere insieme l'etichetta giusta con un cibo», spiega Franco Ricci, direttore di Bibenda, rivista cult per gli amanti del buon bere, oltre che organizzatore della hollywoodiana manifestazione degli Oscar del Vino, che premia a Roma i migliori produttori nelle varie categorie. «Pensate bene alla caratteristiche di sapore di un piatto, e poi andate su un vino che le assecondi, senza essere schiacciato, ma nemmeno prevaricare - spiega l’esperto - Prendiamo la classica caprese, cioè l’acido del pomodoro, l’aromatico del basilico, la dolcezza lattosa della mozzarella di bufala, ed ecco che non si sbaglia, restando fra l’altro nella regione, con un bel Fiano di Avellino, dalle note calde e ammandorlate».

Gelasio Gaetani d’Aragona, esperto internazionale e consulente per le cantine di vip che vanno da Gianni Agnelli a Ivana Trump, ha le idee chiare: «Per i piatti dell’estate perché non scoprire il piacere dei nostri vitigni? Che so, su una pasta alla puttanesca, vedo bene le note solide, appena fruttate di un Verdicchio. Mentre su un brodetto adriatico sento la robustezza, acida, potente, ferma di un Trebbiano di Abruzzo».
Il gioco dei matrimoni estivi col bianco può continuare all’infinito. Fulvio Pierangelini del Gambero Rosso nella Maremma livornese, uno dei più grandi chef d’Italia, non ha dubbi: «Rivalutiamo il momento dell’aperitivo. Troppi frizzantini ignobili hanno rovinato la piazza ai prodotti seri. Per delle bollicine tricolori di qualità io rivaluterei i Brut Satèn della Franciacorta, eleganti, poco sparati». Lo chef Antonello Colonna, credibile testimonial gastronomico del Lazio, tifa per la sua regione: «Difficile trovare di meglio di un Frascati o di un Marino, paciosi e caldi, su un classico come il prosciutto e melone e il prosciutto e fichi. Ma anche sugli spaghetti alle vongole il Lazio ha qualcosa da dire: vogliamo parlare dell’Est Est Est?».
Massimo Riccioli, patron della Rosetta, una delle più esclusive tavole capitoline tutto pesce, per la catalana di aragosta preferisce provocare uscendo dai confini nazionali. «Per un piatto che mette insieme dolcezza del crostaceo, acidità del pomodoro e aromi, io azzarderei un Sauvignon neozelandese, potente di frutta esotica e note solari e dolci. Fra l’altro il Sauvignon in generale, e noi ne abbiamo di straordinari, specie in Friuli, con la sua complessità aromatica si sposa alla grande anche con i crudi». I patiti della fusion non disperino, però. Gianfranco Vissani ha un’idea anche per la difficile combinazione sushi-vino. «Il sushi è un sapore caldo, senza spigoli - spiega - quindi bisogna giocarsela su un vino ampio, come un Riesling alsaziano di qualche anno». Ma attenzione, il catalogo dei bianchi non si esaurisce ai vini secchi. Perché negarsi, con una ricca macedonia di frutta, il piacere di un Moscato d’Asti, fragrante e ricco di note floreali?

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