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Il Messaggero

Più rosso, meno pillole ... Il brindisi è d'obbligo. Ora che gli scienziati della Harvard School di Medicina hanno scoperto che i polifenoli, sostanze contenute nel vino rosso, allungano la vita delle cellule come una dieta ipocalorica, si aprono prospettive più sorridenti per i cultori del buon bicchiere. Addirittura si congeda un po' di quel senso di colpa che accompagna il rito affettuoso dell'apertura di una bottiglia. Meno male. Oltre tutto perché i risultati della ricerca forniscono un'informazione precisa: un'assunzione moderata di vino rosso non è solo un piacere, ma anche una prassi che giova alla salute e allunga la vita. Bacco sorride. Il massimo della gioia di Epicuro a portata di mano. Ciascuno, secondo la propria inclinazione, può allargare cioè lo scaffale della farmacia di casa a una bottiglia di Barolo, piuttosto che di Brunello. Il segreto è tutto nella formula che accompagnava insieme al «conosci te stesso» i fedeli di Apollo nel santuario di Delo: «Senza eccessi». Vogliamo mettere però le profondità di emozione che può regalare un bicchiere, uno solo, di Bordeaux rispetto a una pillola, una bustina, o diosasolocosaltro di integratore dietetico? Per i gourmet, senza dubbio, la risposta non ammette equivoci. Come il protagonista de Il ferroviere di Pietro Germi che sollevava apodittico il calice nella modesta cucina di famiglia con un «Uva!», che era esclamazione e preghiera laica di una fede con poche, ma solide, certezze.

Al vocabolario del quotidiano si aggiungono nuove parole difficili, ma ben vengano i polifenoli e quant'altro, se come in un'allegoria della vendemmia accompagnano festanti il carro di Dioniso. L'importanza della scoperta rivaluta l'attualità della contrapposizione tra piacere nella moderazione e trasgressione nell'eccesso. Non per caso il Platina, autore di uno dei più celebri ricettari del XVI secolo, intitolava la sua opera all’“honesta voluptas”. Ruota tutto intorno a questo punto l'uso sociale e culturale dell'indicazione dei ricercatori americani. Vino rosso, un bicchiere. Alla larga dai riti di morte degli alcolisti del sabato sera. E alla larga anche dalla fruizione cupa dell'osteria, come luogo dell'eccesso. Molto più interessante la cultura del wine bar. Un bicchiere scelto con amore, con saggezza, per affacciarsi su un universo di cultura e di sapori. Basta, per dilatare l'anima e la testa. Per giunta, a quanto pare, anche ad assumere in maniera piacevole principi utili alla nostra salute. Nessuna indulgenza, né simpatia, per la cultura dello sballo. Non parla di quell'uso del vino lo studio americano. Per contro, sul versante dell'uso virtuoso della bevanda, ci si può divertire ad improvvisare una "farmacia" casalinga dove, tra gli integratori convenzionali, non potranno non figurare i nostri buoni rossi. Allungarsi la vita con la Barbera, col Chianti, col Nero d'Avola, il Sangiovese, il Merlot, il Cesanese del Piglio, difficile non felicitarsi con la scoperta americana. Davvero, tutto il potere alla fantasia. Si pareggia un poco, in questo modo, la partita con il grande nemico ideologico, l'acqua, a sua volta ampiamente esaltata dalla letteratura medica. Ma i gourmet, notoriamente faziosi, preferiscono ricordare il sofisticato scrittore latino Lucio Apuleio: «Nella città di Tisbe vivono genti orribili e dedite a pratiche contro natura. Costoro aborriscono il vino».

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