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Il Messaggero

Business nel bicchgiere - Tra Europa e Stati Uniti è armistizio sul vino. Gli Usa pronti a rinunciare ai finti Chianti, ma l’Ue deve accettare l’import di bianchi e rossi aromatizzati ... Pace vicina tra Usa e Ue sul dossier vino. La firma arriverà solo dopo step di verifica sui vari e complessi punti dell’intesa. Ma l’armistizio c’è. Gli Stati Uniti, usciti con fragore dall’Oiv, organismo internazionale a guida italiana (un po’ Onu e un po’ Wto del vino) dopo un rientro durato un soffio, sono tornati a trattare con Bruxelles. Incassando il sì europeo su uno dei punti che ne avevano deciso l’addio all’Oiv. Che possano cioè entrare nell’Ue, “accettati” come vini, rossi e bianchi fatti secondo regole e pratiche ammesse negli States, ma fuorilegge, invece, se adottate da vinificatori nostrani. Come ad esempio quella che consente in certi casi di aggiungere dall’esterno al vino aromi replica dei ai profumi preziosi e naturali - figli solo di uva, vinificazione ed evoluzione - delle nostre grandi bottiglie.
In cambio però gli Usa si impegnano a dare uno stop progressivo (e preliminare allo sblocco da parte europea per i vini fatti “all’americana”) all’uso di denominazioni - vedi Chianti e Marsala - che sono per il made in Italy e il made in Europe del vino secolari bandiere territoriali; e per loro invece label così generiche da poter essere appiccicate impunemente su bottiglie fatte in California, Oregon o (peggio) con uve e mosti triangolati da Argentina o Cile, nuovi “serbatoi” della produzione low cost.
Per il ministro Alemanno il patto di Bruxelles «è un successo che corona l'impegno italiano e delllUe a tutela dei marchi d'eccellenza». Ma per molte associazioni di produttori l’intesa è in chiaroscuro. È perplessa Confagricoltura, secondo cui l’Ue ha concesso troppo sul fronte delle pratiche enologiche ammissibili per i vini Usa in cambio di troppo poco. La Cia parla di accordo che «pone fine a un ventennio di deroghe, ma lascia aperte questioni che penalizzano la nostra vitivinicoltura». E Coldiretti mette in guardia contro «preoccupanti concessioni». Un no deciso, infine, arriva dalle Città del Vino. Certo, sul breve-medio, la bilancia di settore (l’Italia esporta un terzo del vino non Usa bevuto là, 700 milioni di valore nel 2004 e quota 1 miliardo nel mirino) gratifica i bersagli a portata europea. Sul lungo termine però, lo spauracchio dell’invasione di vini cheap e figli di body building totale in cantina non può essere ignorato. Proprio in questi giorni il magnate russo Abramovich, arcinoto patron del Chelsea, ha aggiunto il suo nome al già lungo elenco di “very famous” aspiranti produttori in Italia. E ieri un Brunello 1964 firmato dalla famiglia che ne ha fatto la storia (Biondi Santi) è stato battuto da Christie’s a 4.200 euro. Episodi eloquenti: da valutare e difendere con acume perché il “global market” non ne faccia trofei da museo.

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