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Il Messaggero

Un “bicchiere” da 10 miliardi di euro l’anno ... La produzione italiana si aggira sui 50 milioni di ettolitri: un quinto del livello mondiale... Una realtà dinamica, attiva, con una presenza sempre più significativa sui mercati mondiali. Nel complesso mosaico dell’economia italiana il vino rappresenta una voce di grande interesse in termini di export, e questo nonostante il cambio “pesante” rispetto al dollaro. Secondo le analisi Istat sul commercio estero, infatti, possiamo parlare di un aumento delle esportazioni per un valore del 20 per cento. Una crescita che riguarda i mercati europei, con la Germania in testa (un mercato di riferimento dove abbiamo scavalcato la concorrenza francese e spagnola), ma soprattutto quello statunitense, dove nell’ultimo anno sono stati esportati 810 milioni di euro di vini (su una quota complessiva di 3 miliardi e 200 milioni di euro), pari a un 16 per cento di crescita. Gli esperti non hanno dubbi: entro il 2010 gli Usa saranno il primo mercato mondiale del vino (che, secondo un’indagine Gallup, ha superato la birra nelle preferenze dei consumatori) e l’Italia può cogliere l’occasione per consolidare la sua presenza (con numeri molto significativi per il Brunello, con una domanda che ha superato la quota di 1,5 milioni di bottiglie (in pratica una bottiglia su quattro finisce sul mercato a stelle e strisce).
Un grande volano è senza dubbio l’”italian style”, ma anche la grande crescita qualitativa dei nostri prodotti che, specie se accompagnati da una saggia politica di prezzi, sono destinati a occupare fasce sempre più promettenti di mercato (non per caso nel mese di ottobre il Vinitaly World Tour, emanazione della più importante realtà fieristica mondiale del vino - il Vinitaly di Verona - sbarcherà negli Usa con tappe a Chicago, San Francisco e Los Angeles). Quella dei prezzi è infatti una voce estremamente sensibile e i grandi produttori italiani lo hanno capito, lavorando sulle “etichetta di seconda linea”, vale a dire costi vicino ai prodotti di base e qualità vicina alla linea di alta gamma: un’opportunità davvero interessante per farsi conoscere dai consumatori e, insieme ai numeri, realizzare immagine.
Ma la nostra politica di export è molto aggressiva anche in Cina, Russia e, mercato estremamente promettente, anche l’India, a testimonianza di una forte capacità di penetrazione della nostra qualità enogastronomia. Secondo un’indagine dell’ufficio studi Mediobanca, non per caso, emerge che nell’ultimo decennio sono aumentate la diversificazione geografica (32 nuovi siti fuori delle regioni di origine), ma anche delle etichette ( circa 1100): entrambi fattori positivi, anche se talvolta elemento di complessità, a causa della difficoltà dei mercati internazionali a orientarsi all’interno di un’offerta tanto frammentata.
A guardare i numeri l’Italia appare come un grande vigneto di quasi 700mila ettari, un terzo dei quali destinato a doc e docg (denominazione di origine controllata garantita) e il resto ai vini da tavola. Ne risulta una produzione complessiva che si aggira intorno ai 50 milioni di ettolitri per un fatturato che si aggira intorno ai 10 miliardi di euro e un valore di occupazione vicino alle 700mila unità (compreso il segmento della distribuzione). Di fatto l’Italia rappresenta da sola (con 3 milioni di ettolitri di Docg, 9 milioni di ettolitri di Doc, 22 milioni di ettolitri di Igt e 20 milioni di ettolitri di vino da tavola) il 21 per cento della produzione mondiale e il 34 per cento di quella dell’Unione Europea. Quanto al consumo interno si calcola che ogni italiano si avvicini ai 60 litri per anno. L’elemento di novità, tuttavia, è che si è andato formando nel tempo un consumo sempre più mirato alla qualità. Una qualità che ha trovato nel tempo una sponda importante anche nella grande distribuzione, la quale ha puntato su una selezione sempre più pensata dell’offerta.
Un panorama variegato, insomma, dove si assiste da un lato a una competizione internazionale sempre più serrata, specie a causa dell’avvento di importanti mercati emergenti fuori dal Vecchio Continente, e dall’altra alla difficile competizione tra la strada della qualità e l’avvento di nuove tecnologie (l’uso dei trucioli, ad esempio, per dare a poco prezzo la sensazione di “barrique” tanto cara a un vasto segmento di consumatori). In questo senso risultati interessanti vengono dal biologico, un settore nel quale l’Italia può vantare la leadership mondiale in termine di numeri, oltre che di valore enologico dell’offerta. Senza dubbio gioca a favore della divulgazione del vino tutta una cultura che si è sviluppata intorno al mondo di Bacco: riviste, canali tematici, guide, grandi happening (Vinitaly, Oscar del Vino, Salone del Gusto).
In questo il valore aggiunto dell’Italia, che può contare su prodotti che, col vino, integrano il racconto goloso di un territorio. Un grande affresco dove non va sottovalutato anche il valore di volano, oltre che di strumento di divulgazione culturale, della ristorazione, dai leader, al piccolo wine-bar, tutti accomunati in un grande sforzo di valorizzazione di un patrimonio di straordinario valore e ricchezza.

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