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L’INDAGINE

Il “modello Fivi”: 1.700 produttori, con 10 ettari in media, e 38.000 bottiglie all’anno prodotte

I Vignaioli Indipendenti (Fivi) letti da Nomisma: “filiera totalmente integrata, dalla vigna alla cantina, alla commercializzazione dei propri vini”
FIVI, VIGNAIOLI, vino, Italia
Il “modello Fivi”: 1.700 produttori, 10 ettari in media, e 38.000 bottiglie all’anno

Poco più di 10 ettari di vigneto come superficie media coltivata, 1.700 produttori associati, 75 tonnellate di uva auto-prodotta per la vendita, ogni anno, di 38.000 bottiglie, al doppio della media del mercato italiano. È il modello socio-economico Fivi, la Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti, analizzato da Nomisma Wine Monitor, per comprendere stato di salute e prospettive della Fivi, che rappresenta “una filiera totalmente integrata, dalla vigna alla cantina, alla commercializzazione dei propri vini”.
“Una delle principali esternalità positive collegate al modello socioeconomico dei Vignaioli Indipendenti Italiani è dato dal fatto che l’81% dei vigneti coltivati da questi produttori si trova in collina e in montagna, rispetto al 60% della media italiana, vale a dire in quelle aree interne sempre più soggette a spopolamento e a rischio idrogeologico - spiega Denis Pantini, responsabile Nomisma Wine Monitor - zone dove, per altro, l’uva da vino rappresenta una delle poche produzioni agricole ancora in grado di dare reddito a chi la coltiva”. In generale, l’Italia del vino vanta un ricco patrimonio: 240.000 aziende coltivatrici di uva, 30.000 imprese vinificatrici, più di 500 vini a denominazione Dop e Igp. E senza tralasciare la biodiversità dei vitigni: i dieci più coltivati pesano per meno del 40% sulla superficie nazionale a vite, contro il 70% della Francia e l’80% dell’Australia. Inoltre, con un fatturato complessivamente pari a 16 miliardi di euro, il comparto rappresenta un indiscutibile punto di forza per il Sistema Paese. Il sistema Fivi (che, a breve, vivrà il suo appuntamento principe, il “Mercato dei Vini dei Vignaioli Indipendenti” 2024, dal 23 al 25 novembre, a Bolognafiere, ndr) comprende vignaioli più piccoli che puntano più sulla qualità che sulla quantità: si trovano in territori meno noti al grande pubblico e anche per questo motivo si professano molto attenti alla sostenibilità e orientati verso l’enoturismo. “Ma questo modello di impresa esprime risvolti positivi anche a livello sociale - aggiunge Pantini - dato che il 30% dei lavoratori è impiegato a tempo indeterminato (contro il 10% della media italiana in agricoltura), il 28% è di origine straniera (sul 19% della media italiana) e il 33% è donna, a fronte del 26% della media dell’agricoltura italiana”. Inoltre, il prezzo medio a bottiglia del vino venduto dai produttori Fivi è più che doppio sulla media italiana (7,7 euro contro 3,6) e dall’indagine condotta da Nomisma emerge come, per quanto l’Italia rappresenti il mercato di elezione dei vignaioli indipendenti (e l’Horeca il canale principale), l’estero non è certo disdegnato: il 71% esporta mentre un altro 23% ha dichiarato di avere intenzione di farlo nei prossimi anni.
Ma le difficoltà, per loro così come per tutto il settore, non sono poche e per essere superate occorrono risorse. Un supporto potrebbe derivare dai fondi Ocm ma, come si legge nell’analisi, “a causa delle restrizioni e dei vincoli burocratici che disincentivano l’accesso da parte delle piccole aziende, solo il 14% dei Vignaioli Fivi ha potuto beneficiare negli ultimi due anni dei fondi destinati alla promozione”. Per quasi un produttore Fivi su due, infatti la gestione dei costi e l’efficienza dell’organizzazione aziendale (messa a dura prova dai cambiamenti climatici e dalla difficoltà di reperire manodopera) rappresentano le sfide più difficili da vincere, così come l’evoluzione dei consumi e l’inasprimento della concorrenza, in particolare di quei vini più economici (spesso anche di minor livello qualitativo) che, in momenti di congiuntura negativa, come quella attuale, rischiano di penalizzare i prodotti di qualità.
La ricerca presenta anche un focus sul sostenibilità. Negli ultimi due anni il 71% delle aziende intervistate ha realizzato azioni finalizzate alla sostenibilità ambientale (dall’utilizzo di packaging sostenibile al contenimento dei consumi di acqua e delle emissioni) mentre un altro 24% ha detto che farà nei prossimi due. Inoltre, un impresa su due produce vini in modo biologico e un 20% è certificato sostenibile. Una leva di sviluppo e integrazione economica utilizzata dai produttori Fivi è quella dell’enoturismo: oltre l’80% delle aziende associate offre servizi per gli enoturisti, in particolare visite guidate con degustazioni. Anche in questo caso, si legge, “il modello Fivi offre un contributo particolarmente utile alla tenuta socio-economica delle aree rurali, dato che i ricavi derivanti dai servizi enoturistici incidono per il 23% sul fatturato complessivo dei “vignerons” (contro una media nazionale del 18%), evidenziando in tal modo una differenziazione delle attività in grado di valorizzare ulteriormente la produzione vinicola delle aree interne. Inoltre, il 46% dei turisti che annualmente visitano tali aziende sono di origine straniera, un altro fattore di sviluppo che, se rafforzato e ulteriormente valorizzato, può contribuire alla riduzione di quell’overtourism che negli ultimi anni sta portando effetti negativi negli equilibri sociali delle città italiane”.
Lorenzo Cesconi, vignaiolo e presidente Fivi, plaude l’analisi di Nomisma ed evidenzia tre temi di riflessione: “abbiamo colto importanti conferme, interessanti novità e preoccupanti segnali di allarme. La conferma riguarda il ruolo dei Vignaioli nella filiera vitivinicola italiana: aziende di medio-piccole dimensioni, spesso a conduzione familiare, radicate sul territorio e capaci di creare valore ed esternalità positive lì dove operano, impegnate non solo nella produzione di vino di qualità, ma nella tutela del territorio e nella conservazione del paesaggio rurale italiano. La novità è legata alla percentuale di lavoratori a tempo indeterminato presente nelle aziende associate: in tempi storici di grande precarietà lavorativa e in un settore caratterizzato inevitabilmente dalla stagionalità, è interessante leggere che il 30% dei lavoratori ha contratti stabili. Significa che in azienda si creano spesso legami professionali profondi, che valorizzano le competenze e si basano su fiducia e rispetto.
Tra le preoccupazioni non possiamo chiudere gli occhi di fronte all’alta percentuale di Vignaioli che ha posto come prima sfida per il futuro quella della redditività, a fronte di un continuo aumento dei costi. Alla politica, in Europa e in Italia, chiediamo semplificazione, snellimento burocratico, innovazione normativa a favore della micro, piccola e media impresa, e soprattutto una strategia chiara nella politica vitivinicola, che deve sempre di più essere orientata alla sostenibilità di produzione, alla qualità e non alla quantità, alla creazione di valore”. “Colgo in questa ricerca tanti spunti utili a formulare istanze da portare alle istituzioni europee, in primis la necessità di rendere accessibili a tutti i vignaioli, anche i più piccoli, ogni misura di sostegno, come ad esempio gli aiuti alla promozione paesi terzi; abbiamo visto da questo studio come le piccole aziende che FIVI rappresenta non accedano a questa misura, pur avendo una buona propensione all’export. Abbiamo colto dal Commissario designato Hansen la necessita per il settore di un impegno verso la sostenibilità: le aziende dei Vignaioli Indipendenti sono in linea con le richieste ma occorre una semplificazione anche nel sistema delle certificazioni, spesso troppo onerose per aziende di queste dimensioni”, ha commentato Matilde Poggi, presidente Cevi (Confederazione Europea Vignaioli Indipendenti) e già presidente Fivi.

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