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Il Mondo / Corriere Della Sera

Altro che Primitivo, il vino è vulcanico ... Partono alla riscossa i vitigni d’eccellenza, i prodotti tipici dell’agricoltura e la pasta. E l’acqua del Vulture che... Il simbolo della riscossa dell’agroalimentare pugliese e lucano? Senz’altro il suo vino, un tempo considerato buono solo per rinforzare la gradazione di più rinomati prodotti, magari francesi. Ma anche l’innalzamento del livello qualitativo delle produzioni industriali, grazie all’apporto della filiera. Proprio su questo versante l’assessorato regionale all’agricoltura, guidato da Enzo Russo, ha lanciato un progetto che prevede il riconoscimento delle produzioni tipiche di ogni provincia, poi valorizzate dal marchio Prodotto in Puglia. Si va dalla patata di Galatina (per Lecce) al carciofo di Brindisi, dalle clementine di Taranto all’asparago di Foggia, dalle ciliegie di Bari all’uva di Barletta-Andria-Trani. Qualità non solo nell’agricoltura, ma anche nel settore industriale: cresce uno dei più noti marchi di pasta italiana, Divella. L’azienda, nata nel 1890, a Rutigliano, dove ancora ha sede, detiene l’8% del mercato nazionale ed esporta il 30% della produzione. Fa acquisti la Borsci di Taranto che, con i suoi liquori (e in particolare con l’Elisir di San Marzano), ha di recente rilevato il controllo della Streglio di None, vicino a Torino, un marchio di eccellenza del cioccolato italiano che proprio la nuova proprietà sta rilanciando.
Tornando al vino, la Puglia può contare senz’altro su aziende tradizionali come la Leone de’ Castris. Fondata nel 1632 dall’antenato degli attuali proprietari, il duca Arcangelo Maria Francesco de Castris, rappresentante della corona spagnola in Puglia, esportava negli Usa già ai primi dell’Ottocento. Oggi produce, tra l’altro, il rosato più famoso nel mondo, il Five roses, l’antico Cinque rose che il generale americano Charles Poletti ribattezzò sul finire della Seconda guerra mondiale. Numerose sono, però, le imprese più giovani già affermate. Si va dalla Cosimo Taurino alla Masseria Monaci (condotta al successo da un enologo irpino, Saverio Garofano), dalla Cefalicchio di Canosa (dove Fabrizio Rossi ha introdotto fin dal ‘92 il metodo biodinamico) alla Motticella di Lucera guidata da Paolo e Paola Petrilli. Sempre sul versante vinicolo, il fenomeno Aglianico in Lucania meriterebbe da solo un libro. L’Aglianico del Vulture è uno dei migliori vini del sud: “Invecchiando bene, sviluppa pienezza d’aroma”, concordano esperti particolarmente sensibili alla qualità della produzione meridionale, come Luciano Pignataro, e intenditori che solo da poco hanno cominciato a scoprire la realtà dei vini del Sud d’Italia, come il britannico Hugh Johnson, una delle grandi penne dell’enogastronomia mondiale.
Numerosi i produttori di qualità, dalle Cantine del notaio alle Cantine Sasso, da Paternoster ai Giannattasio. Michele Giannattasio, dopo esperienze di executive a livello internazionale, ha voluto rilanciare una vigna di proprietà della sua famiglia da secoli e in pochi anni, con i suoi figli, è diventato un produttore di prima linea.
Il massiccio vulcanico del Vulture, oltre a un grande vino, dà anche una grande acqua. Le Fonti del Vulture sono passate l’anno scorso alla greca Coca-Cola Hellenic, che le ha rilanciate e le sta trasformando in un marchio di successo internazionale.

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