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Il Mondo

E chi lo chiama ancora vinaccio? ... Viticoltura. Le strategie di rilancio (finora vincenti) degli operatori del settore. Sono 86 i produttori di fascia medio-alta, con 26 doc e quattro igt. Ora si punta sull’uva autoctona... Al Vinitaly di Verona, il Palatium, il padiglione di oltre 2.500 metri quadrati che ospitava i vini laziali, ha ottenuto il posto più prestigioso: di fronte l’ingresso. A conferma che la regione ha ormai conquistato una posizione di rilievo nel panorama nazionale: conta 26 doc e quattro igt, rappresenta circa il 4% della superficie coltivata a vite e il 4,4% della produzione vinicola. Numerose le aziende di fascia medio-alta: erano presenti a Verona 86 produttori (di cui 15 donne e quattro specializzati nel biologico) per un assaggio totale di 482 vini. Tante sono le imprese che hanno puntato sul rilancio dei vitigni autoctoni come ha fatto, sul litorale tirrenico a nord della capitale, la Casale Cento corvi recuperando l’uva Giacché. E tante sono le aziende che hanno deciso di abbinare al vino un’offerta gastronomica di qualità. Per esempio, nell’azienda Fontana candida aprirà l’osteria di Antonio Ciminelli e Maria Ippoliti, che a Fiuggi hanno meritato due forchette del Gambero rosso.
Si parte dall’estremo Nord della regione, ai confini con l’Umbria, per scoprire il territorio attraverso società presenti e premiate nelle più importanti rassegne. A Montefiascone i fratelli Riccardo e Renzo Cotarella, due tra i maggiori enologi italiani, dal ‘79 conducono l’azienda Falesco. Specializzata nel recupero dei vitigni tradizionali e nella sperimentazione per l’adattabilità di quelli internazionali, l’azienda si è nel tempo ampliata nella zone di Orvieto. La linea laziale comprende Est! Est!! Est!!!, Crus Montiano, Passirò, Ferentano, Tellus e Poggio dei gelsi.
Lungo la Valle del Tevere, ancora in provincia di Viterbo, nel territorio di Civitella d’Agliano (dov’è documentata la vinificazione fin dal Duecento) da oltre settant’anni i Mottura posseggono la tenuta Corte di Tregoniano.
L’azienda, ora gestita da Isabella Mottura, produce vini definiti innovativi nella tradizione come l’Anadis (da uve Montepulciano), l’Akemi (da Merlot e Sangiovese) e il Siren (da Sangiovese e Cabernet Sauvignon). Se i vini dei Castelli romani hanno perso la poco invidiabile nomea che li affliggeva fino a non molti anni fa è merito di aziende come la Castel de Paolis di Grottaferrata. Di proprietà della famiglia Santarelli, produce solo con metodi biologici ed è riuscita a condurre ai massimi livelli il bianco Frascati. Eccellenti sono anche il bianco Villa Adriana, il rosso Campovecchio e il dolce Rosathea.
In località Ferriere, a pochi chilometri dai Castelli, ma in provincia di Latina, un territorio bonificato negli anni ‘30 dalle caratteristiche compiutamente diverse, ha sede l’azienda Casale del giglio, condotta da Dino Santarelli, un cognome storico nel mercato del vino romano fin dai primi del Novecento. Tra i suoi bianchi emergono l’Antinoo e il Petit Verdot, tra i rossi il Madreselva e il Mater Matuta. Nell’interno della regione, in provincia di Frosinone, ad Acuto, famoso per ospitare le Colline ciociare, uno dei più noti ristoranti italiani, ha sede l’azienda Casale della Ioria. Dove il titolare Paolo Pennelli segue personalmente la produzione di rossi come il Cesanese del Piglio e bianchi come la Passerina del Frusinate.

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