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Il Mondo

Dinastie vinicole al passo con i tempi ... A settantacinque anni dalla prima bottiglia, i principi Guicciardini Strozzi hanno deciso di rinnovare non solo il packaging della loro Vernaccia di San Gimignano, ma anche la tecnica di vinificazione. Non è la prima volta che capita per questo vino che la medesima famiglia produce nelle terre di proprietà dal Duecento e che, appunto dal ’33, imbottiglia e distribuisce in Italia e all’estero. I Guicciardini Strozzi sono una delle tante dinastie toscane che hanno fatto la storia dell’Italia e del vino contemporaneamente, antiche famiglie che non hanno mai avuto vergogna a sporcarsi le mani con la terra. È il caso dei Guicciardini Strozzi, appunto, come dei Mazzei, degli Antinori come dei Frescobaldi. La scena vitivinicola della Toscana è dominata dal Sangiovese, da cui scaturiscono non solo il Brunello di Montalcino e il Chianti nelle diverse declinazioni, ma anche quella che è nata quarantanni fa all’Agricola San Felice (ora di proprietà del gruppo Allianz) come una novità: i Supertuscan, vini che abitualmente associano Sangiovese e varietà internazionali, barrique e prezzi alti, tra cui spiccano presenze ormai consolidate come Tignanello, Ornellaia, Sassicaia, Solaia.
Ma se i Supertuscan dovevano essere innovativi, allora evviva l’innovazione. Quella che arriva, per esempio, da Antonio Moretti, imprenditore della moda e vignaiolo in Toscana e Sicilia, il cui Oreno della Tenuta Setteponti è risultato essere il miglior vino italiano nella classifica del mensile internazionale Wine spectator.
Supertuscan a parte, il catalogo regionale è quanto mai ricco. Ripartiamo dal bianco più pregiato, la Vernaccia di San Gimignano, che ha produttori eccellenti anche nelle Tenute Niccolai, con il podere Palagetto, condotto dalla famiglia omonima che si è ampliata anche a Montalcino e in Maremma; La Mormorala dei milanesi Passoni; Vigna Santa Margherita di Giovanni Panizzi. E poi passiamo all’ampia famiglia
del Sangiovese. Prima di tutto a quel clone di Sangiovese, chiamato Brunelle a Montalcino, da vinificare in purezza così come lo inventò 130 anni fa Ferruccio Biondi Santi, che da un vino rosso, forte, corposo e longevo. Non vogliamo entrare nel merito delle polemiche di recente accese intorno al Brunello, quando (in buonafede?) si è confusa l’eventuale aggiunta di uve diverse, ma sempre di eccellente qualità, al Sangiovese con il taroccamento e addirittura con la sofisticazione. Di certo, se c’è un disciplinare, finché non muta, va rispettato. Ma che ci si interroghi anche sulla moltiplicazione poco evangelica di altri vini celebri come lo champagne.

Per tornare al Brunello l’elenco degli eccellenti produttori occuperebbe uno spazio esorbitante. E allora solo qualche consiglio di gusto personale. Prima di tutto il Brunello del fondatore, Biondi Santi, con l’eccellenza dell’annata 01. Quindi i vini di un’altra casata storica del grande rosso toscano, i Cinelli olombini, le cui radici risalgono al dodicesimo secolo. La Fattoria dei Barbi è oggi guidata da Stefano Cinelli Colombini, ideatore di un naso elettronico per l’analisi e i profumi dei vini. E il Casato prime donne è condotto da Donatella Cinelli Colombini (una delle più valenti e appassionate interpreti del mondo enologico nazionale, pioniera del turismo del vino e ideatrice dell’innovativa Cantine aperte, autrice di molti libri come ‘Il marketing del turismo del vino per Agra editrice), nelle cui aziende, tra Montalcino e Trequanda, lavorano solo donne. E ancora, per fare qualche altro nome, il Brunello di Fattoria Scopone (che produce anche un rosso in versione kosher), Podere la Fortuna, Casanova di Neri, Ugolaia, Ciacci Piccolimini d’Aragona, che installa un codice antifalsificazione d’avanguardia.

Per il Chianti il gusto conduce al Classico e al Rufina. Per gli aderenti al consorzio del Chianti classico, conosciuto con il simbolo del Gallo nero, l’annata sembra non tradire gli ottimi risultati degli ultimi anni e per salutarla il presidente Marco Pallanti battezza un nuovo portale informativo per gli estimatori e di servizio per i produttori. Intanto si bevano con piacere il Bellavista 01 del Castello di Ama o la Selvanella 03 di Melini; la Riserva ducale oro 01 dei Tenimenti Ruffino o i Carpineto, l’azienda pluricentenaria di Greve in Chianti posseduta da Giovanni Sacchet e Antonio Zaccheo che invecchia i suoi rossi da sei a dodici mesi oltre il limite richiesto dai disciplinari. Per il Chianti Rufina un’etichetta simbolo è Fattoria Selvapiana, posseduta ininterrottamente dal 1827 dalla famiglia Giuntini, che, per esempio con il vigneto Bucerchiale, produce Chianti eleganti e longevi, avvolgenti e fragranti, profondi. Vino impressionante per stile e bouquet è il Nobile di Montepulciano con produttori eccellenti in gran copia, tra i quali Avignonesi, Boscarelli, Poliziano, Fassati (acquistata nel ‘69 da Spartaco Sparaco e quindi del gruppo Fazi Battaglia), Asinone. E, quindi, è la volta del Morellino di Scansano, il Sangiovese di Maremma che ha realizzato negli ultimi anni il più forte aumento di vendite tra i vini italiani sia pure affinandosi in gusto e qualità, come dimostra Elisabetta Geppetti con il Poggio Valente della Fattoria Le Pupille. Ancora nel cuore della Maremma sta facendosi valere anche la giovane doc del Montecucco, grazie a produttori come Vincenzo Monaci (proprietario del teatro Eliseo di Roma) con la sua Pieve Vecchia.

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