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Il Mondo

Quanto è verde l’alimentare padano ... Prodotti agricoli. Affari a gonfie vele per i fiori all’occhiello del settore. Dalla Franciacorta alla Valcuvia, una selezione dei migliori produttori di tipicità culinarie della regione... Terra operosa la Lombardia? Certo. Anche per il buongusto. A cominciare dal vino. L’area più nota è senz’altro la Franciacorta, tra Brescia e il lago d’Iseo, che lo scorso anno ha venduto oltre 8 milioni di bottiglie. E quest’anno non sembra da meno, nonostante l’arrivo del nuovo e più severo disciplinare. Eppure la sua storia è relativamente recente. Era il ‘61 quando Guido Berlucchi e Franco Ziliani produssero la prima bottiglia di “champagne” italiano.
Nell’area è ancora la Berlucchi a fare la parte del leone, ma numerosi sono i produttori di eccellenza nei quali ci si imbatte su e giù per la Franciacorta. Tanti che non basterebbe l’articolo solo per elencarli. Ha radici antiche Ricci Curbastro, che già centocinquant’anni fa vendeva i suoi vini in bottiglia e oggi esporta un terzo della produzione. E più recente, ma ha bruciato le tappe della qualità, la Ronco Calino, nata quasi per vezzo dell’industriale bergamasco Paolo Radici e diventata azienda serissima, che produce Franciacorta mossi di aromatica complessità, vini fermi (tra cui eccellente il Sebino, un Pinot nero dedicato al pianista Arturo Benedetti Michelangeli, già proprietario della tenuta), distillati dalle vinacce lavorate da Capovilla a Rosà, in provincia di Vicenza. Una boutique del Franciacorta è la Mosnel di Lucia e Giulia Barzanò che produce chicche come il N5 (ricorda il profumo di Chanel e sono cinque i vigneti da cui trae le uve) o il QdE ‘98, solo in magnum numerate, nato dopo nove anni di riposo sui lieviti da un’annata eccezionale. Non le è da meno la Monte Rossa di Emanuele Rabotti, con il fiore all’occhiello del Cabochon, che prende il nome dal taglio delle pietre preziose.
E nella zona hanno cominciato la diversificazione di successo i fratelli Muratori, industriali tessili del Bresciano, oggi con tenute anche in Toscana, Campania e Lucania, che producono Franciacorta con i tratti distintivi dei terreni in cui le vigne sono state impiantate (da cui lo slogan: sei terre, sei vini) con in testa il rosé Brolese e il Cisiolo da Pinot nero in purezza vinificato in bianco. Spingendosi all’estremo Nord, la Valtellina è l’unica area al di fuori del Piemonte dove cresce bene il Nebbiolo, localmente definito Chiavennasca. Il più pregiato e importante frutto di queste coltivazioni impervie è lo Sforzato (o Sfursat) con Mamete Prevostini, Sertoli Salis, Nino Negri. Il campione è considerato il 5 stelle di quest’ultima azienda che nasce dal rigoroso appassimento naturale delle uve. Dal suo apparire, nell’89, ha inanellato successi, ora sotto l’egida del Gruppo italiano vini, il maggiore produttore nazionale, che dimostra in Valtellina e altrove come la qualità possa sopravvivere egregiamente alle logiche di una holding, e anche guadagnarci. Magnifiche bevute garantiscono il Pinot nero di Monsupello così come la Lugana di Ca’ dei Frati, il Valcalepio di Tallarini o il Moscato di Scanzo della Brugherata. Così come un vino che, dicono bene i fratelli Trimani nel loro Cento Vini, appena edito da Donzelli, ricorda il Piemonte ed è prodotto in una zona, l’Oltrepò pavese, un tempo piemontese: la Bonarda vivace, profumata, ma robusta di Enrico Albani, affermato ingegnere informatico che ha trasformato un hobby in un’eccellenza...

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