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Il Mondo

Nobilmente siciliano ... Vino. Antiche famiglie e nuovi imprenditori venuti dal continente rilanciano il prodotto Doc locale... Per qualità e quantità, impegno e successi, il vino è uno dei simboli della nuova Sicilia. Anche se ancora c’è una quota di produzione scadente, venduta sfusa, la sua ascesa è stata notevole. In parte è dovuta al lavoro compiuto su vitigni plurimillenari, dall’Inzolia al Grillo, dal Catarratto al Nero d’Avola; in parte è dovuta all’importazione di vitigni internazionali, di cui, però, si comincia a sentire l’abuso. Le aziende note sono numerose. Si va da antiche famiglie nobili a nuclei locali da tempo interessati al vino, a imprenditori venuti dal continente o addirittura dall’estero, a produttori giovani, ma già apprezzati. Lunga sarebbe la lista delle eccellenze. Si può scegliere allora alcune imprese testimonial.
All’incontro tra i conti de la Gatinais e il Gruppo italiano vini si deve il rilancio della Rapitalà, letteralmente rinata dopo il terremoto del Belice. Due sono i vini simbolo dell’attuale fase, nati entrambi dal matrimonio tra vitigni locali e importati: il rosso Nuhar (da Nero d’Avola e Pinot nero) e il bianco Bouquet (da Grillo, Sauvignon e Viognier).
Nel Cinquecento affonda le radici l’azienda Planeta, che circa 15 anni fa ha virato verso la prima qualità, pur conservando numeri importanti con 390 ettari vitati di proprietà, una produzione di 2,35 milioni di bottiglie con il 53% di export e 130 dipendenti. La ricerca è uno dei punti fermi della società: ha realizzato, tra l’altro, due campi collezione a Sambuco di Sicilia con le 22 varietà autoctone siciliane e a Noto con i moscati di tutto il mondo. Quanto ai vini di eccellenza prodotti la varietà è ampia, a partire dal vino bandiera Santa Cecilia, un grande Nero d’Avola.
Proprio del Nero d’Avola si è innamorato (e ora fa innamorare) Antonio Moretti, toscano, industriale tessile di successo, titolare ad Arezzo della tenuta Sette Colli, dove produce Supertuscan di successo, che a Noto possiede l’azienda Feudo Maccari. Dove ha riproposto la coltivazione ad alberello, portata nell’isola dai greci, che necessita di un costoso e competente lavoro manuale, ma dà appunto grandi rese. Come il Saia, Nero d’Avola sontuoso, profumato e insieme austero, amato dai siciliani purosangue come dagli esperti di riviste internazionali del calibro di Wine Spectator, o il rosato Re Noto, da Nero d’Avola vinificato in bianco (niente a che vedere con le insipide misture che l’Ue vuoi far passare per rosé) o il bianco Grillo.
Sul versante nord dell’Etna si trova la Tenuta delle terre nere, che produce vini in tre cru dalle condizioni geografiche e atmosferiche particolari e dalla resa eccezionale, come dimostrano grandi vini del livello dell’Etna rosso Calderara sottana, al 100% da uve Nerello Mascalese. Lo stesso vitigno esaltato dalla famiglia Cambria, titolare dell’azienda Cottanera, sul medesimo versante del vulcano, nell’Etna rosso.
Ma eccellenti sono, tra gli altri, l’Ardenza e il Barbazzale bianco. Ancora sul versante dei bianchi (anche se produce pure ottimi rossi) c’è l’azienda Cantine Barbera di Menfi, dove si producono con grande attenzione all’ambiente e tracciabilità di filiera il Dietro le case e il Menfi da uve Inzolia. E bianco di grande qualità è anche un vino che simboleggia pure il desiderio di riscatto siciliano: il Catarratto Placido Rizzotto, prodotto su terreni confiscati alla mafia dalla cooperativa sociale Cento passi a San Giuseppe Jato, una delle numerose iniziative simili nate nella regione con grande coraggio e alterne fortune, ma ora, finalmente, così pare, arrivate al sofferto successo.

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