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Il Mondo

Alla riscoperta dei vini ... Dossier Sicilia... Enologia. Aziende note ed emergenti si contendono un mercato in continua crescita, tra bianchi e rossi doc... Le etichette regionali, prima quasi sconosciute, conquistano adesso premi internazionali... Quindici anni e non dimostrarli. O dimostrarli tutti, perché riesce a manifestare la propria essenza e il proprio carattere, come le persone migliori. E come un gran bianco vulcanico di Sicilia, il Pietramarina Etna superiore dell’azienda Benanti, da carricante, vitigno insolito, tardivo nella maturazione e poco produttivo, che ha fatto innamorare, per esempio, Luciano Pignataro, la voce più importante dell’enologia meridionale, di cui è appena arrivato in libreria “101 vini da bere almeno una volta nella vita spendendo molto poco”. La capacità di resistenza all’invecchiamento del Pietramarina Etna superiore di Benanti è la cartina al tornasole di una crescita, quella del vino siciliano, merito tutto di uomini e donne caparbi e attaccati alla loro terra nonostante i suoi problemi. E se nel mondo la Sicilia vinicola è arrivata sugli scudi grazie ai vitigni internazionali e agli investimenti di grandi aziende, che hanno fatto lievitare i prezzi delle terre e del prodotto, alla prova degli anni sono proprio i siciliani caparbi e pochi forestieri della stessa tempra a sopravvivere alle ricorrenti crisi economiche e al rifiuto dei vitigni globali. Partiti dai bianchi, con i bianchi si continua. E sempre da vitigni autoctoni e tradizionali. È il caso del Contessa Entellina Vigna di Gabri (al 100% inzolia) di Donnafugata, i possedimenti di campagna del principe di Lampedusa, ora dei Rallo, un secolo e mezzo di esperienza alle spalle a Marsala. Oppure il Dinari del Duca, tutto da uve Grillo, della Pellegrino, altro nome legato al Marsala. O ancora il Regaleali (da inzolia, grecanico e catarratto) dei Tasca d’Almerita. Attualmente la storica azienda, condotta dal conte Giuseppe, produce tutta una serie di vini interessanti ed è impegnata anche sul fronte verde, in un progetto di eco sostenibilità all’avanguardia. Appunto il Nero d’Avola sta caratterizzando l’attuale stagione vinicola in rosso della Sicilia. Un prodotto eccellente è senz’altro il Saia di Feudo Maccari, appena insignito dei tre bicchieri del Gambero Rosso. L’azienda di Antonio Moretti, toscano, un nome importante nell’industria della moda, con terre e vitigni anche nella sua regione, che crede molto nell’isola, dove ha di recente inaugurato anche una nuova cantina, il cui primo frutto è il Moscato Sultana, da uve moscato al 100% coltivate ad alberello. Superbo, a Ispica, tra Ragusa e Siracusa, è il Fontanella Eloro (Nero d’Avola in purezza anche in questo caso) dei Curto, viticoltori dal 1670. Ma non di solo Nero d’Avola si vive in Sicilia. Sulle colline al cospetto dello Stretto l’azienda Palari ha fatto risorgere il Faro, un grande vino rosso che si produce da oltre 3 mila anni. E non molto lontano, a Chiaramonte Gulfi, la Poggio di Bortolone produce, tra gli altri, un magnifico Cerasuolo di Vittoria e il Para para (60% Nero d’Avola e 40% frappato). Ancora alle pendici dell’Etna, da localissime uve nerello, piantate dove sorgeva un noccioleto, l’azienda Cottanera mette in vendita uno spiccato Etna rosso. Infine, sul fronte del Marsala, una sicurezza è il Vecchio Samperi di Marco de Bartoli. Mentre una rimarchevole novità sono i distillati di Giovi, che Giovanni Li Fauci produce utilizzando materie prime delle migliori cantine siciliane (le grappe monovitigno di Nero d’Avola, Nerello mascalese, Moscato di Pantelleria) che si affiancano alle acquaviti di frutta raccolta nell’area etnea: ciliegie, fichi d’India, albicocche.

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