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Il Mondo

Alluvione punto e a capo … Enogastronomia il sistema agroalimentare della regione fattura 4,5 miliardi con 317 prodotti tipici … I1 danno non è stato ancora quantificato. Ma sarà nell’ordine di decine di milioni. Una brutta batosta per l’agricoltura veneta, ma poteva anche andare peggio. L’alluvione delle scorse settimane, infatti, si è scatenata quando la vendemmia era quasi ultimata, altrimenti sarebbe stato un disastro. E comunque tra Vicenza e Verona sono finiti sott’acqua 2.100 ettari di terreni coltivati che non si sa ancora quando potranno essere concimati. Terreni di alta resa, una media di 5.800 euro a ettaro, tra le più elevate d’Europa. Terreni che permettono al sistema agroalimentare veneto un fatturato di 4,5 miliardi fondato su ben 317 prodotti riconosciuti tipici, più di uno al giorno. La regione è terza in Italia per valore aggiunto agricolo e quinta nel comparto agroalimentare, di cui assicura il 13% dell’export nazionale. Purtroppo i campi sono costretti a pagare colpe altrui: se l’acqua non esondasse nei terreni agricoli, i centri abitati diventerebbero tante piccole Venezie, ma senza il fascino della laguna. In queste terre, dove ora si lotta per superare l’emergenza, da sempre si cerca di coniugare qualità ed esigenze di mercato, con produzioni agroalimentari che hanno conquistato nicchie pregiate. Per esempio, a Castelfranco Venero la Molino di ferro, con il rinomato mais dell’area di Molo, produce pasta per celiaci e anche per buongustai che non amano appesantirsi a tavola (per esempio, le Asolane). E a Vidor, sempre in provincia di Treviso, Aires Pasteria mette in commercio prodotti da forno biologici utilizzando semole di grani duri rinomati come la varietà Senatore Cappelli. Da Campofilone, capitale della pasta all’uovo italiana, si è trasferito nel Trevigiano Claudio lacoponi, che ne produce di elevata qualità con il marchio I sapori di casa. Tra i cereali spicca, inoltre, il riso, tanto nella specialità Carnaroli che in quella Vialone Nano, indispensabile per un risotto croccante ma legato, prodotti entrambi dalla Riseria delle Abbadesse di Gromola, nei pressi di Vicenza. Nel companatico non vanno dimenticati i salumi dei fratelli DeStefani di Guia di Valdobbiadene (prima di tutto per la Soppressa al Cartizze) e il Prosciutto Berico-euganeo dop di Umberto Nogara a Sovizze, nel Vicentino, e soprattutto i formaggi. I:Asiago, dalle alte capacità nutrizionali, lo si può comprare da Pennar ad Asiago, alle Latterie Vicentine a Bressanvido e alla Latteria Soligo di Farra. Notevole è il millenario Montasio nelle sue varie versioni a secondo della stagionatura, dal Moro di Morta di Livenza, da Summaga a Portogruaro, da Agricansiglio a Fregona. Un’autentica esperienza la si vive a San Pietro di Feletto, dove i Perenzin L’interno di una cantina e un vigneto Tra Vicenza e Verona sono finiti sott’acqua oltre 2.100 ettari di terreno coltivati e non si sa quando potranno essere concimati producono formaggio esclusivamente biologico da latte di capra, arrivato perfino da Harrods a Londra. Mentre per i dolci una particolarità è rappresentata dal Panettone realizzato nel carcere di massima di sicurezza di Padova dalla cooperativa sociale Rebus. A spingere in alto i numeri dei forti flussi di esportazione sono anche i prodotti freschi ormai noti ai buongustai di ogni continente. È il caso del Radicchio, il rosso di Treviso o il variegato di Castelfranco Veneto, una produzione di elevato valore organolettico, o dell’Asparago bianco di Bassano del Grappa, tutti supervisionari dai consorzi di tutela che ne stanno accompagnando la crescita sui mercati internazionali. E per chi vuole assaporare i prodotti tipici di queste terre anche fuori stagione, la Valbona di Lozzo Atesino, nei pressi di Padova, da oltre un secolo trasforma verdure fresche venete in sottoli, sottaceti, conserve al sale o in agrodolce, condimenti vegetariani, grigliati e salse. Ma è nel vino che il Veneto esprime grandi qualità e anche grandi numeri. Il Gruppo Italiano vini di Verona (304 milioni di fatturato con il 70% di quota export), il Santa Margherita di Portogruaro (80,4 milioni) e il gruppo Zonin di Gambellara (91 milioni) sono fra le più importanti realtà vitivinicole del Paese. Ma non si possono trascurare altre produzioni di primissimo livello come quella dell’Amarone della Valpolicella di cui porta lo stendardo la Cantina di Soave (circa 80 milioni di fatturato) o del Recioto di cui segue le sorti il Consorzio per la tutela della denominazione di origine controllata dei Vini Gambellara. O ancora del Prosecco della Valdobbia, una realtà così interessante da far muovere persino un colosso degli Spirits come l’Illva di Saronno (oltre 300 milioni di fatturato) per conquistare l’azienda agricola veneta Costa Farne!. Secondo i dati del Consorzio, le bollicine hanno registrato fra il 2003 e il 2008 un boom di produzione del 45% con un fatturato che è volato da 250 a 370 milioni di euro, con un forte gradimento sui mercati esteri. In questo scenario si muovono realtà estremamente dinamiche come la Bisol, il cui Prosecco da novembre è esposto, assieme a quattro champagne, nella Food Hall dei celebri magazzini londinesi Harrods o come la Beato Bartolomeo, azienda di cooperativa che produce il 70% dei vini Breganze doc. E accanto a storiche cantine, come la Piovene Porto Godi (dove il vino è coltivato sin dal 1500), ci sono anche nuove iniziative imprenditoriali come quella di Paolo Padrin, ex direttore private banking della Popolare di Vicenza, che ha deciso di tornare alle viti con l’azienda agricola Le Pignole. Un panorama ricco di varietà dove non manca lo spazio anche per l’innovazione legata alle vinacce. Protagonista è la Bonollo, famiglia che produce grappe dal lontano Ottocento e che nel 1999, con la Grappa Of Amarone Barrique, ancora oggi punta di diamante della produzione, creò la prima grappa in Italia con invecchiamento in barrique. L’azienda padovana ha pensato bene di trasformare le vinacce in combustibile da utilizzare per produrre vapore per la distillazione e di usare gli scarti liquidi per farne biogas. Con questa trovata, i Bonollo, che ogni anno comprano dai viticoltori 750mila quintali di vinacce, producono 1’80% del fabbisogno medio dello stabilimento di produzione. Tanta innovazione. Persino in un business antico come quello della vite.


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