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Il Mondo

Buongusto che passione… Enogastronomia vino e prodotti tipici sono diventati la vera attrazione per l’incoming nella regione … La Toscana esporta il proprio modello di turismo enogastronomico in Estremo Oriente. L’assessore regionale al turismo, Cristina Scaletti, ha appena firmato un accordo con l’Agenzia del governo cinese per trasferire il proprio know how nelle tre popolose province di Hunan, Yunnan e Shanxi. Per la regione è un’operazione di grande visibilità in un Paese in piena espansione economica, popolato da 1,3 miliardi di persone. E di cose da dire, del resto, la Toscana, con un fatturato turistico di 9 miliardi di euro (1’8% al pil regionale), ne ha veramente tante. Soprattutto sul tema enogastronomico che sta diventando il vero traino dell’industria dell’accoglienza. Basti pensare che in Italia un agriturismo su quattro è toscano per un totale di 3.800 aziende che permettono ai visitatori esteri (2,5 milioni l’anno) di immergersi completamente nei piatti tipici locali. Nelle colline toscane ci sono 64 mila ettari di vigneti e 97 mila di oliveti dove ogni anno mediamente vengono prodotti oltre 2 milioni e mezzo di ettolitri di vino e 175 mila quintali di olio d’oliva. Un grande business d’eccellenza che può contare su 451 prodotti tradizionali che si possono degustare lungo le 19 strade del vino. Trentasei etichette Doc, e cinque Docg, 11 mila aziende (su un totale di 30 mila) focalizzate sui vini di qualità, con un export annuo che sfiora i 500 milioni, il 17% di quello nazionale. I numeri delle aziende vitivinicole toscane descrivono un mondo di innovazione e marketing unico con bottiglie pregiate come Chianti, Morellino, Brunello, Nobile. Ma non solo. A Montalcino, dove, secondo i dati Inea, un ettaro vale tra 340 e 400 mila euro (contro i 150-200mila di un Barolo classico), è nato e si è sviluppato un consorzio a difesa del pregiato vino rosso, che sta lavorando sull’immagine del prodotto dopo le indagini della Guardia di Finanza che hanno riscontrato lo scorso anno alcune «frodi in commercio» per il mancato rispetto del disciplinare del Brunello. Ma qui a Montalcino c’è anche chi ha pensato di non produrre Brunello come l’azienda vitivinicola Logonovo di Marco Keller, presente sul mercato con l’omonima etichetta prodotta solo con uve di Merlot. Una bella sfida in un territorio che nel 2009 è riuscito a commercializzare 7 milioni di bottiglie di Brunello con il 60% venduto all’estero. Keller non è l’unico industriale ad aver investito in zona. La famiglia di petrolieri Jacorossi, per esempio, si è concentrata sul vino Nobile con La Talosa che produce 100 mila bottiglie l’anno. Ma l’intera Toscana, si sa, è un mondo di vigneti da scoprire dove grandi famiglie, come i marchesi di Antinori e Frescobaldi, i Banfi e i Cinelli Colombini, hanno costruito gli imperi del vino di qualità. In questa terra, il Consorzio del Chianti Classico, che riunisce 600 produttori (il 95% del totale) per un totale di 7 mila ettari ( 75% il prezzo dell’ettaro fra il 2004 e il 2009), svolge, attraverso il proprio sito, un ruolo proattivo mettendo in contatto le aziende e i ristoratori con i potenziali clienti. Qui, fra le realtà più piccole ma dinamiche, la Manucci Droandi, che ha avuto il merito di lanciarsi ad Arezzo in progetti eco-compatibili, assieme all’Istituto sperimentale per la viticoltura del ministero delle Politiche agricole. E, a proposito dell’area aretina, c’è da segnalare la Tenuta Sette Ponti, nel cuore del Chianti, di proprietà di Antonio Moretti, che con il suo pluripremiato Oreno è stato diverse volte ai vertici delle classifiche mondiali dell’autorevole rivista Wine Spectator. Infine non si possono tralasciare altre due denominazioni: il Bolgheri, di cui è espressione l’azienda di Michele Sarta, e il Chianti Rufina, con la storica Selvapiana e la Frascole, dove pare si produca uno dei migliori Vin Santo del mondo. Infine fra gli emergenti c’è il vino Orcia con realtà imprenditoriali d’aurore come quella di Marco Capitoni. Dall’oro rosso agli insaccati, la Toscana resta leader nella lavorazione del prosciutto. Alla corte di Francia lo introdusse Caterina de’ Medici e già allora la sua qualità era garantita. Alla fine del quattrocento due macellai fiorentini, i fratelli Morini, furono multati ciascuno per 20 scudi, una cifra all’epoca molto elevata, perché gli «uffiziali della grascia» li avevano scoperti a vendere prosciutti non realizzati secondo i metodi prescritti, il disciplinare, come si chiama oggi. Proprio la tipicità, la carne (toscana o di regioni limitrofe), le spezie e le essenze locali, i tempi e i metodi di elaborazione e stagionatura sono ancora oggi alla base del successo del prosciutto toscano dop, come spiega Fabio Viani, titolare dell’omonimo salumificio a San Gimignano e presidente del Consorzio del Prosciutto Toscano. Anche quest’anno, dopo un 2009 in con-trotendenza rispetto alla crisi, la crescita è nell’ordine delle due cifre su un fatturato di oltre 40 milioni, di cui la quota relativa all’export è intorno al 15% (ormai arriva anche in Cina). In questo segmento d’eccellenza del mercato alimentare, si distinguono i prosciutti della Norcineria di San Savino, che mette anche in barattolo i sughi di Chianina, altro giacimento regionale. La razza Chianina, appartenente al Vitellone bianco dell’Appennino igp, è iscritta in un libro genealogico di cui è garantita la tracciabilità anche commerciale. Da Rassina, in provincia di Arezzo, dove la sua famiglia gestisce una storica macelleria, è stato Simone Fracassi a rendere famosa nel mondo non solo la Chianina ma anche il Maiale grigio del Casentino, lavorato con successo pure da Falaschi a San Gimignano. Dalle carni dei suoi maiali di Cinta senese, a Castiglione d’Orcia, Pasquale Forte ricava, invece, salame crudo a grana grossa con sentori di aglio e vino rosso. Ma la Toscana non è solo carne. E, per esempio, formaggi, come quelli della maremmana Parrina, a Orbetello, Io Scodellato dell’azienda Cacio di Volterra, il Pecorino di Silvana Cugusi a Montepulciano. E, poi, c’è il capitolo dei dolci con in testa i Panforti di Siena dell’Antica drogheria Manganelli nel capoluogo toscano oppure di Marabissi a Chianciano. Per i gelati a Firenze c’è Mordilatte, dove la frutta è solo di stagione. E tra gli aromi primeggia lo Zafferano della Val d’Orcia, rigorosamente in fili, dell’azienda agricola Brandi di Montepulciano. Infine l’olio: il Chianti classico dop, fruttato e gradevolmente piccante, per esempio, dell’azienda Pruneti a Greve in Chianti, o il Toscano igp, dal sapore deciso ma equilibrato, del Frantoio Franci a Montenero d’Orcia.

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