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Il Mondo

Filare all’estero ... Mille operatori internazionali convocati in un borgo altoatesino per concordare esportazioni dirette. Sempre più biodinamiche ... L’appuntamento alternativo va in scena a un’ora di macchina dagli affollati padiglioni del Vinitaly. Niente confusione, parcheggi assistiti, non una carta per terra e tutto alimentato con energie rinnovabili, non si paga il biglietto ma si deve essere invitati da Alois Lageder, uno dei principali produttori dell’Alto Adige, che da qualche tempo ha deciso di aprire la sua casa e il borgo che possiede a Magrè sulla strada del vino fra Trento e Bolzano a una quarantina di colleghi. Italiani e stranieri, da Lisbona (con il Port invecchiato degli inglesi Graham’s-Symington, da due secoli proprietari di 900 ettari, che arriva ai 200 euro a bottiglia) all’Australia (Salomon Estate) e alle vicine Austria (per esempio, Tement) e Germania (Wittmann). Nomi poco conosciuti e altri importanti come Bruno Giacosa dalle terre del Barolo e del Barbaresco, Marco Felluga dal Collio, Brandolini d’Adda dalle Grave e Illy da Montalcino. In rappresentanza di tutte le zone, comprese le bollicine del Prosecco di Valdobbiadene (Nino Franco) e della Franciacorta (Cavalieri). E poi un migliaio di operatori dei settore e importatori ospiti, soprattutto del Nord America, il mercato che sta dando più soddisfazione, insieme all’Estremo Oriente, al vino italiano di qualità.
Così Summa, questo il nome della manifestazione, diventa un punto di incontro amichevole ma anche concreto, destinato a un confronto sui mercati e a rinsaldare rapporti o a crearne di nuovi. A cominciare dal mark-up concesso a chi importa e distribuisce i vini all’estero, spesso al centro di polemiche per gli oneri eccessivi, talvolta una specie di tangente che supera ogni ragionevole margine, anche del 40%. Per gli Usa un gruppo di 12 aziende vinicole ha scelto la via del club, Le famiglie del vino, che prevede un magazzino a Livorno e spedizioni mirate ai distributori di ognuno degli States con un risparmio di più del 20% sul sistema tradizionale. “Così il vino può essere venduto al ristoratore o al pubblico a un prezzo più ragionevole e il prodotto viene valorizzato”, commenta Roberto Felluga, figlio di Marco, uno dei due capostipiti della dinastia friulana (l’altro è il fratello Livio, rispettivamente 85 e 97 anni) che si sono affermati parallelamente e con dimensioni simili sui mercati mondiali. “Al Vinitaly c’è troppo caos, si viene travolti dal pubblico generico e non si riesce a costruire dialoghi di affari”, spiega Roberto Felluga, alla guida di Marco Felluga e Russiz Superiore, mezza dozzina di milioni di fatturato, che sta registrando nel 2012 un buon andamento delle vendite non solo all’estero ma anche in Italia.
C’è chi al momento si divide tra la kermesse di Verona e il meeting di Magrè come Andrea Costanti, alla guida della Conti Costanti, uno dei nomi storici del Brunello di Montalcino, con una tenuta di 10 ettari a 450 metri di altezza in una posizione fortunata per i venti che attenuano le ondate di caldo. E che si permette, in caso di annate sfavorevoli, come il 2002, di non produrre neanche una bottiglia di Brunello pur di garantire il legame dell’etichetta con la qualità assoluta. Chi cura personalmente i rapporti con i distributori riesce a emergere anche in mercati difficili e affollati come quello del Chianti. Piero Lanza, vitivinicoltore di terza generazione a Radda con la Fattoria Poggerino, produce 60 mila bottiglie e riesce a tenere lontana la crisi dei colleghi con le cantine piene e i prezzi dei terreni in picchiata con riserve preziose, per esempio di sangiovese in purezza, mantenendo ricavi remunerativi.
Qui c’è spazio anche per gli esordienti (o quasi). Il vivaista bavarese Georg Weber, per esempio, ha scelto qualche anno fa di partire da zero, piantando le barbatelle di Cabernet sauvignon e franc, Merlot e Petit Verdot nella tenuta Monteverro a Capalbio. Si è affidato a un giovane enologo francese e ha ridotto la produzione a 25 quintali per ettaro per i bianchi e a 40 quintali per i rossi: ora raccoglie i primi frutti con vini dai profumi molto in linea con i gusti internazionali a prezzi finali sostenuti, da 29 a 109 euro la bottiglia, già con un alto punteggio della newsletter molto ascoltata nel settore Wine advocator.
Negli edifici del 1500 di Lageder (famosi nella zona per le feste dionisiache e acquistati con il borgo vent’anni fa dalla Banca di Trento e Bolzano, a sua volta subentrata alla famiglia che li aveva costruiti), accanto alla cantina tutta acciaio e legno e piena di opere d’arte, hanno sempre più spazio i viticoltori naturali. Se Vinitaly apre al biologico, qui si corre sul biodinamico, sulla scia dello stesso Lageder, che sul rapporto con la natura e la filosofia steineriana (il Mondo numero 17 del 2011) ha costruito un filone che contagia i colleghi con la certificazione Demeter. La stessa che sta per arrivare sui vini di Francesco Illy, fratello di Riccardo e di Andrea (alla guida della multinazionale del caffè di Trieste) e che come industriale e designer si occupa delle macchine espresso e dei rapporti con gli artisti per le edizioni limitate e i barattoli firmati. Proprio incontrando per un contratto il pittore Sandro Chia (da sempre produttore di Brunello), Francesco Illy si è innamorato di Montalcino e ha rilevato i 14 ettari vitati del podere Le Ripi, che ora, dopo forti investimenti, si sta affermando
non solo on il Brunello ma anche con un 100% Sirah riserva che ha conquistato i critici. E ha convinto i fratelli a rilevare la confinante e molto più grande tenuta Mastrojanni, una etichetta già affermata che il gruppo Illy sta lanciando in tutto il mondo.

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