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Il Premio Nobel Rigoberta Menchù: “un chicco di caffè è anche un chicco di pace”

L’attivista guatelmateca, a Torino, con il grande fotografo Steve McCurry, nei 20 anni della Fondazione Lavazza. E dei suoi progetti attivi nel mondo

Crisi climatica, vulnerabilità dei produttori e perdita di aree coltivabili, sono i principali fattori che minacciano il futuro dell’agricoltura. E non esente dai rischi è il caffè, una delle filiere più articolate e frammentate al mondo: il 95% della produzione globale proviene da 25 milioni di piccoli produttori con 12,5 milioni di aziende agricole a conduzione familiare su terreni di grandezza inferiore ai 5 ettari, dislocate in più di 40 Paesi della cosiddetta “coffee belt”, la cintura del caffè compresa tra il Tropico del Cancro e il Tropico del Capricorno. Da vent’anni Lavazza si impegna per garantire un futuro prospero del settore e dei suoi protagonisti e, in occasione dell’anniversario della creazione della sua Fondazione (era il 2004), l’azienda torinese ha voluto ribadirlo festeggiando con l’evento “The Coffeeprint of Tomorrow”, nei giorni scorsi a La Centrale della Nuvola Lavazza a Torino, con ospiti Steve McCurry, il fotografo più famoso al mondo, e il Premio Nobel per la Pace 1992, grazie al suo impegno per i diritti delle popolazioni indigene, l’attivista guatelmateca Rigoberta Menchù, testimonial dei progetti Lavazza.
E per la quale, ha detto Rigoberta Menchù - “un chicco di caffè è anche un chicco di pace. Pace che è cultura, educazione, armonia, incontro, dialogo, fiducia, mediazione. Io per tutta la vita ho cercato dialogo e mediazione, soluzioni ai problemi in modo che fossero condivise. Per questo mi piacerebbe costruire un’università, una vera facoltà di mediazione dei conflitti, perché l’accademia possa occuparsi davvero di pace, perché i nostri giovani devono avere la possibilità di prepararsi e formarsi per questo, per i negoziati in favore della pace. Quando vedo una piantagione di caffè rigogliosa - ha sottolineato - con dei bei fiori bianchi, dei bei chicchi, vuol dire che in quel terreno c’è equilibrio. Io sono molto preoccupata per il riscaldamento globale, ma forse siamo ancora in tempo per un appello a una cultura della pace intesa anche come armonia, dell’uomo e della terra. Investire nella pace è la grande sfida dell’umanità, degli imprenditori, degli Stati- ha concluso - siamo tutti parte di una lotta globale per l’umanità”.
“Siamo consapevoli delle sfide che il settore del caffè si trova ad affrontare. La Fondazione guarda ai prossimi 20 anni con un obiettivo ambizioso, ossia rendere i coltivatori e le coltivatrici, e in particolare le nuove generazioni e le donne, degli imprenditori e delle imprenditrici in grado di essere competitivi sul mercato globale del caffè e di rispondere con efficacia alle nuove sfide, contribuendo alla crescita del sistema Paese in cui vivono - ha affermato Giuseppe Lavazza, presidente del Gruppo e consigliere della Fondazione - gli obiettivi per il futuro saranno supportare le comunità produttrici attraverso progetti di formazione che le aiutino ad adattare le piantagioni all’impatto del cambiamento climatico, a rispondere alla crescente richiesta di prodotto di qualità e fornire un’ampia gamma di varietà di caffè, favorendo la biodiversità e combattendo la deforestazione”. Negli anni la Fondazione ha sostenuto e finanziato 50 progetti di supporto alla filiera del caffè, attualmente sono 30 quelli ancora in essere dislocati in 17 Paesi su tre continenti diversi: dal progetto promosso dallo United Nations Development Programme con l’Ecuador che ha portato il Paese sudamericano ha realizzare la sua prima produzione di caffè certificata “deforestation-free”, a “Coffe to be reborn” che ha consentito a 180 donne della comunità indigena Maya Poq’omchi del Guatemala di divenire autonome, sia come produttrici che come imprenditrici del caffè, e allo “Ujana Coffe Project” in Uganda che ha permesso ai giovani locali di sviluppare le loro microimprese intorno al mondo del caffè, accanto al progetto internazionale “A Cup of Learning”, dedicato ai più giovani, che permette di diventare professionisti del caffè a tutto tondo, ed a “Il caffè come megafono di pace” che ha consentito agli agricoltori del Dipartimento rurale di Meta, in Colombia, di riconvertire in piantagioni di caffè le coltivazioni illegali di cocaina, sorte durante la guerra civile. Un viaggio raccontato nel libro “I chicchi che hanno fatto la storia” che celebra l’anniversario della Fondazione Lavazza attraverso gli scatti realizzati nel corso degli anni dal fotografo Steve McCurry, accompagnati dai testi del giornalista Mario Calabresi.

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