È il vino che racconta la storia, e nel calice si possono trovare più tracce del passato di quanto si possa immaginare. Nella Toscana dei signori “illuminati” della vigna e del commercio, ci sono famiglie che hanno “acceso”, in momenti determinati da contesti particolarmente favorevoli, la luce dell’enologia contemporanea ed è possibile oggi, anno dopo anno, leggere dentro una Riserva andamenti climatici e scelte tecniche fatte in passato che ci parlano di quale siano state le visioni imprenditoriali che hanno influenzato il presente. Ma non ci si può limitare solo alle impressioni che narra il calice. Infatti spesso, alzando lo sguardo, ci si accorge che chi ha investito in vigna lo ha fatto anche in bellezza e cultura. Oggi possiamo ammirare capolavori di architettura ed arte scultorea, oppure dipinti maestosi o arazzi, grazie alla volontà che qualcuno ha avuto di creare valore oltre la produzione di vino. È il racconto di WineNews di una “verticale storica”, come quella delle Riserve del Villa Bossi Chianti Rufina Docg della Marchesi Gondi - Tenuta Bossi attraverso alcune annate iconiche, con il Master of Wine italiano Gabriele Gorelli, nella cornice di Palazzo Gondi, nel cuore della Firenze del Rinascimento.
Firenze è il simbolo in terra di questo concetto arcaico, ormai desueto ed incomparabile con le dinamiche sociali attuali. Concetto che diventa però attualità dal momento che i monumenti, le opere e i palazzi sono ancora ammirati da milioni di persone di tutto il mondo. E se nella campagna toscana, dall’alto delle colline che circondano Firenze e che creano il diffuso e romantico concetto di Chianti, il vino rappresenta l’identità di quel tutto e nel nome del bello, concretamente diventa un prodotto con quel qualcosa in più che lo fa assurgere al ruolo di simbolo, così in città le opere monumentali commissionate dalle famiglie del vino creano il prestigio. Dall’epicentro della bellezza, Piazza della Signoria a Firenze, dove in Palazzo Vecchio si scorgono tracce di vite nelle monumentali colonne del Cortile di Michelozzo e si ammirano le allegorie di San Gimignano, con le sue torri e la sua Vernaccia, quella del Chianti, che poi diventerà il Chianti Classico, con il suo Gallo Nero, e ancora quella del Valdarno di Sopra, e quella di Cortona e Montepulciano, oggi terra di grandi Syrah la prima e di Vino Nobile la seconda, con la “regia ante litteram” del Vasari nel soffitto a cassettoni del Salone dei Cinquecento, fino alle colline vitate che, tutto intorno, “dipingono” l’immenso territorio che si espande in ogni direzione e forma il Chianti.
Andando verso Pontassieve, si incontra il Chianti Rufina dove il Sangiovese è coltivato da tempi immemori e i Marchesi Gondi, che annoverano nel loro albero genealogico tanti antenati illustri, da secoli lo producono e lo preservano. Il vino diventa così una storia di famiglia che è allo stesso tempo rappresentativa di tutto il territorio, delle sue speranze delle sue ambizioni. Una storia di enologia, ma anche fatta di commistioni e ponti tra mondi lontanissimi. Oppure vicini come la Firenze e la Parigi del Cinquecento. Banchieri, uomini di scienza e di fede, i Gondi che hanno seguito Caterina de’ Medici alla corte Francia andando a ricoprire ruoli di prim’ordine nello scacchiere francese. Un asse che ha legato, con un difficilissimo rapporto di amore e odio, Firenze con Parigi, in cui si sono scritte anche pagine di storia enologica, magari con confronti tra gli agricoltori e i vignaioli dell’epoca chiantigiani e francesi scambiando e condividendo saperi e conoscenze. E chissà se anche Alberto Gondi, Duca di Retz e Maresciallo di Francia, e suo fratello Pietro, Arcivescovo di Parigi, entrambi chiantigiani, abbiano mai conferito di viticoltura con i monaci delle abbazie d’oltralpe. Entrambi sono, ça va sans dire, seppelliti nella Cappella situata nell’abside di Notrè Dame sull’Île Saint-Louis a Parigi, “sopravvissuti” all’incendio recente, come sempiterno orgoglio fiorentino in terra straniera. Dunque, i Gondi, dal “Paradiso”, dove il Sommo Poeta Dante, nel XVI Canto colloca l’antenato di famiglia appartenente ai Filippi, “illustri cittadini” insieme agli Ughi, i Greci, Ormanni e gli Alberighi, si sono dedicati alla viticoltura in cerca di un’esperienza legata al Sangiovese. E come se non bastasse, non poteva mancare in questa storia anche Leonardo Da Vinci, il genio toscano anche lui alla corte francese, del quale i Gondi furono esecutori testamentari.
Spostando l’orologio della storia, si arriva al secondo dopoguerra, quando un piccolo “rinascimento vitivinicolo” ha investito la campagna toscana spostando nel centro Italia il baricentro dell’enologia “contemporanea” e la visione, unita alla volontà, di dare valore al prodotto vino come bene di consumo d’eccellenza e prestigio in grado di parlare del territorio. I Gondi portano alle pendici dei colli della Rufina, nella terra solcata dalla Sieve, già indicata dal Granduca Cosimo III de’ Medici nel famoso Bando del 1716 che definiva le zone vocate alla coltivazione della vite e che ancora oggi delinea confini di alcune delle Denominazioni toscane, il desiderio di produrre un vino che possa diventare un bene di consumo pregiato e richiesto.
Dunque, quando si parla della “galassia Gondi” non solo stiamo parlando solo di una storia che è stata direttamente inscritta nei ruoli di potere della Firenze e della Parigi del Cinquecento, della filosofia, della cultura, delle banche e della guerra ed in generale della storia che si ritrova nel Palazzo Gondi a due passi da Palazzo Vecchio ed adornato da Giuliano da Sangallo, erede del Brunelleschi e dell’Alberti che è proprio al centro della città ed impreziosito da statue, arazzi e da una delle terrazze più belle della “culla del Rinascimento”. Palazzo Gondi che ospita uno dei più bei camini monumentali, sempre finemente decorato dal Sangallo, intatto da cinque secoli a questa parte.
A traghettare nella modernità la produzione vinicola del marchesato è Bernardo Gondi, tutt’oggi in carica insieme al figlio Gerardo Gondi che dalle sue prime vinificazioni di fine anni Settanta ha inciso in ogni annata la ricerca dell’identità di un Chianti di pregio con vinificazioni ed accorgimenti degni dei grandi blasoni rossisti del mondo. Ed anche in bottiglia, dunque, “si fa archeologia” per capire come è cambiato il modo di fare vino, come si è modificato il territorio intorno alla Tenuta Bossi, la proprietà campestre tra Firenze e le colline del Chianti Rufina Docg.
Sangiovese, ma poi Merlot e tagli in bianco, legni diversi, principi enologici, decisioni nel vigneto che in oltre quarant’anni di enologia moderna e negli oltre seicento di coltivazione tradizionale parlano di un mondo, quello toscano fatto di imprenditori vitivinicoli in grado di cavalcare l’onda dei cambiamenti con la volontà di essere sempre in prima linea per creare qualità e valore dal territorio. Questo raccontano i Chianti Rufina di Gondi, questo racconta il peso sensibile ed invisibile della storia che si respira sotto la volta stellata sopra la terrazza di Palazzo Gondi a Firenze, che abbiamo ammirato con la guida d’eccezione di Beatrice Gondi, consapevoli, calice alla mano, che questa è la bellezza dell’Italia.
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