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Il Secolo Xix

Vino, una passione da vip. Imprenditori e professionisti si fanno produttori. Competenti, buoni gourmet o semplicemente attratti da un’arte
nobile e antica come fare vino: i bei nomi dell’imprenditoria italiana si sono lanciati in
un’avventura piacevole che può diventare. Il vino affascina i big dell’industria e della
finanza, che, sempre più numerosi,
acquistano tenute di pregio nelle zone più
vocate della penisola e nelle regioni
emergenti. I pionieri, come Vittorio Moretti e
Arnaldo Caprai, del resto, hanno dimostrato
che il vino può essere un un buon affare ... «I conti sono ancora in
rosso - confessa il
produttore di Arfango
e Carshoe - ma nelle
aziende agricole il
patrimonio si rivaluta
rapidamente».
«Mi sono appassionato
ai grandi vini toscani -
afferma il presidente
di Ferragamo Usa -
ma mi ha convinto il
progetto su Castiglion
del Bosco»

Il più assortito mercato enologico
internazionale e una grande festa popolare
del vino. Apre le porte questa mattina, per
concludersi il 14 aprile, il 37mo Vinitaly, l’annuale
kermesse del vino che per cinque
giorni trasforma Verona nella capitale mondiale
del settore. Si attendono quest’anno
oltre 160 mila visitatori da tutto il mondo. Gli
espositori presenti, su una superficie espositiva
di 65 mila mq., saranno 3.858, provenienti
da 24 Paesi.
Nonostante il biglietto di ingresso alla Fiera
di Verona costi ben 30 euro, è atteso un
grande afflusso di pubblico: addetti ai lavori,
esperti, appassionati e curiosi. I motivi di interesse
sono molteplici. Ad esempio la presenza,
maggiore rispetto al passato, di produttori
delle zone vitivinicole più vocate del
mondo, che consentirà ai visitatori di avere
una panoramica delle nuove frontiere dell’enologia
mondiale. Fra assaggi e degustazioni
di vini italiani ed esteri, convegni e presentazioni,
contatti commerciali e contratti, sarà
possibile, inoltre, avere una prima idea concreta
dei risultati dell’ultima vendemmia,
questo 2002 che per molte zone pregiate
sembra essere stato un anno nero, mentre
in altre è stato tutt’altro che deludente. Per
gli operatori sarà il momento di cogliere le
ultime tendenze dei consumatori e verificare
quanto la lunga recessione economica e la
guerra incidano sulle vendite di quella che
insieme alla moda è ormai una bandiera del
made in Italy.
All’interno del Vinitaly si svolgono, inoltre,
due importanti manifestazioni: il Sol, salone
internazionale dell’olio di oliva vergine ed extravergine,
e il VinTur, salone del turismo
del vino e dell’olio, dedicato a un fenomeno
di importanza crescente.

CAPRAI

L’ ultimo a lasciarsi conquistare
dal fascino dell’etichetta
è stato, meno di un mese
fa, Massimo Ferragamo, giovane
generazione di una delle più
famose dinastie della moda. Insieme
a un gruppo di investitori
il presidente di Ferragamo Usa
ha acquistato, «a titolo personale
», la proprietà di Castiglion del
Bosco, nella zona di Montalcino,
sito medievale del XIII secolo:
1700 ettari di terreno, 55 dei
quali a vigneto Docg Brunello.
«Negli ultimi anni - spiega l’imprenditore
fiorentino - ho maturato
una passione per il vino toscano
di qualità, ma sono stati
soprattutto il fascino di Castiglion
del Bosco e l’importante
progetto cui daremo corso, a
convincermi».
A metà febbraio un giovane
esponente dell’imprenditoria
lombarda, Andrea Bonomi, nipote
della “signora della finanza
italiana”, Anna Bonomi Bolchini,
ha rilevato dai Folonari il 45%
della Ruffino, notissima casa vinicola
toscana, attraverso un
fondo chiuso a cui partecipano
anche la 21 Investimenti di
Alessandro Benetton e la Fininvest
di Silvio Berlusconi.
Il vino made in Italy piace, affascina,
conquista. E da qualche
anno è diventato anche un ottimo
affare. Sono sempre più numerosi,
ormai, gli imprenditori
e i professionisti che si abbandonano
alla suggestione della campagna
o che addirittura riconvertono
la loro attività diventando
produttori di vino. E’ una
scelta che alcuni pionieri avevano
fatto negli anni Settanta,
quando gli scenari di mercato
erano assai meno favorevoli:
un’avventura quasi sempre coronata
dal successo. Com’è stato,
ad esempio, per Vittorio Moretti,
imprenditore bresciano a
capo di un gruppo da 85 miliardi
di fatturato che spazia dall’edilizia
alla nautica, dal turismo alla
ristorazione: nel 1974 acquistò
i primi ettari di vigneto in Franciacorta
e con la collaborazione
dell’enologo Mattia Vezzola creò
Bellavista, presto affermatosi
come uno dei migliori marchi
nelle “bollicine” brut. Forte di
questi risultati Moretti ha continuato
a investire nel vino: nel
91 Contadi Castaldi ancora in
Franciacorta, nel ’97 Petra a Suvereto,
in Maremma, e ora La
Badiola a Castiglion della Pescaia.
Un altro industriale che ha
scommesso con successo sul
vino italiano è Arnaldo Caprai,
imprenditore tessile di Foligno,
produttore di merletti e maglieria
in cachemire. Nel ’71 acquistò
45 ettaro a Montefalco, in
una delle zone più suggestive
dell’Umbria fra uliveti e antichi
filari. Convinto delle grandi potenzialità
di un vigneto in via di
estinzione, il Sagrantino di Montefalco,
Caprai nell’88 diede carta
bianca al figlio Marco perché
portasse a compimento un progetto
di valorizzazione di questo
vino. Grazie alla ricerca, alla selezione
dei cloni e all’impiego
delle tecniche più moderne Caprai
ha dimostrato che il Sagrantino
è un grande vino rosso,
recuperando un patrimonio che
rischiava di andare perduto e rilanciando
un territorio.
Pierluigi Tagliabue, petroliere
di Monza, è stato fra i primi
a puntare sul territorio di Montalcino.
Nel 1978 ha rilevato Villa
Poggio Salvi, potenziandone i
vigneti. Oggi la sua famiglia è
stabilmente radicata in Toscana,
dove vive anche la figlia Francesca,
sposata a Jacopo Biondi Santi,
nome storico del Brunello, e
da qualche tempo sempre più
impegnata a fianco del marito
nella gestione delle aziende di
famiglia.
I pionieri hanno fatto scuola
e col tempo altri imprenditori si
sono convertiti al vino con successo.
Come le famiglie Ercolino
e Capaldo (Pellegrino Capaldo è
un famoso avvocato romano),
che hanno dato vita a una delle
più brillanti aziende della Campania,
la Feudi di San Gregorio.
O Giuseppe Benanti, industriale
farmaceutico di Catania, che sui
terreni di famiglia, alle falde dell’Etna,
ha impiantato vigneti internazionali
accanto agli autoctoni
dell’isola. Come Franco
M. Martinetti, pubblicitario torinese
e colto gourmet, che, senza
possedere un ettaro di terra
né un metro di cantina, produce
vini apprezzati dalla critica. O i
fratelli Muratori, industriali tessili
bresciani, che, come racconta
Nicola Dante Basile nel suo
recente volume “Profumo di
Vino”, hanno elaborato un progetto
innovativo “Arcipelago”,
con aziende in Franciacorta, Maremma,
Ischia e Sannio. Ma c’è
anche chi ha compiuto il percorso
opposto. Come Mario Moretti
Polegato, che, appartenendo
a una famiglia trevigiana di produttori
di vino, è diventato un
industriale di successo nel settore
delle calzature (Geox), mentre
il fratello Giancarlo segue le
aziende agricole (La Gioiosa, Villa
Sandi, Opere Trevigiane).
Tutti si dichiarano entusiasti
del fatto di possedere un’azienda
agricola. Sergio Zingarelli, ad
esempio, ha fatto una scelta di
vita impegnandosi nella gestione
della tenuta Rocca delle Macie,
che il padre Italo, produttore
cinematografico, aveva acquistato
all’inizio degli anni 70 nel
Chianti. Ha diversificato la produzione
espandendosi nella
zona del Morellino di Scansano
e quest’anno, con il suo Roccato
’99, ha colto per la prima volta
l’alloro dei “tre bicchieri” della
Guida di Slow Food Gambero
Rosso. Non si pente nemmeno
Antonio Moretti, una delle più
esclusive griffes della moda (Arfango,
Bonora e Carshoe, le scarpe
preferite da Giovanni Agnelli).
Tre anni fa ha ceduto a Prada
una partecipazione nelle sue
aziende e ha cominciato a investire
nella tenuta di Sette Ponti,
sui colli aretini, acquistata dal
padre negli anni ’50. Sotto la
guida di Carlo Ferrini i suoi “supertuscan”
Crognolo e Oreno
(che quest’anno ha avuto “tre
bicchieri”) si sono imposti rapidamente.
Risultati che lo hanno
spinto ad espandersi, in Maremma
e in Sicilia. Il ritorno dell’investimento?
«Saranno tempi
lunghi - spiega Moretti - i conti
sono in rosso, ma l’azienda si
patrimonializza rapidamente. Il
costo dell’investimento è elevato,
come nella moda. Dopo tutto
- conclude - acquistare un’azienda
agricola è quasi come
aprire un negozio a Capri o a Milano
».

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