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Il Secolo Xix

Al Salone del Vino guerra tra regioni. La Toscana “scippa” il Sagrantino all’enologia umbra … La guerra è scoppiata all’inizio di questa settimana quando la Toscana ha emesso un decreto che inserisce tra le varietà vinicole regionali il Sagrantino, vitigno antichissimo, prediletto dai pontefici fin dal medio Evo per il vino dolce che se ne ricava, e documentato anche in un affresco di Benozzo Bozzoli conservato in un convento di Montefalco, il Sagrantino è una gloria dell’enologia umbra. Gloria recente, in verità, perché dopo essere stato dimenticato e quasi abbandonato, questo particolarissimo vitigno da cui oggi si ottiene un rosso strutturato e tannico (oltre alla versione passita) il Sagrantino di Montefalco doc, è stato rilanciato dall’industriale di Foligno, Arnaldo Caprai, pioniere in un’operazione di recupero che ha creato una nuova economia per il territorio di Montefalco.

La notizia che la Toscana ha deciso di “scippare” il Sagrantino, in Umbria ha provocato una guerra di campanile violentissima, che ha visto gli esponenti politici del polo attaccare la giunta regionale ulivista di Perugia, rea di non aver “esercitato la doverosa attività di vigilanza”. Più pacata la reazione dei produttori, peraltro preoccupati per la tendenza, che si va delineando, a “esportare” in altre zone vitigni autoctoni (cioè originari e tipici) che si identificano con un particolare territorio. “Come gli altri produttori di Sagrantino - ha dichiarato Marco Caprai, che guida l’azienda “Val di Maggio” - mi aspetto e chiedo che la Regione Toscana (così come le Marche che hanno intrapreso un’iniziativa analoga) faccia un passo indietro”.

Questa soluzione verrà discussa oggi al forum sui vini autoctoni italiani in programma al Lingotto di Torino, dove ieri si è aperto il Salone del Vino (che si concluderà il 17 novembre). Agli autoctoni il Salone di quest’anno dedica seminari, eventi e una grande degustazione che si è svolta ieri e che ha consentito al pubblico di spaziare fra un centinaio di vini tipici, in parte del tutto sconosciuti.

Al forum sugli autoctoni, a cui parteciperanno gli assessori all’Agricoltura di numerose Regioni Italiane, sarà presentata la proposta di un “patto di non aggressione “ fra i vari enti regionali. La grande varietà di vini autoctoni (per la Liguria si pensi al Pigato, alle uve da cui si ottiene la Sciacchetrà, al Rossese, alla Bianchetta e ad altri minori in via di recupero) può rappresentare la carta vincente dell’enologia italiana sullo scacchiere, sempre più competitivo e aggressivo, del mercato mondiale. Di fronte a Cile, Australia, California, e ora anche Argentina, che sfornano Cabernet, Chardonnay, Shiraz, di buona qualità e a prezzi molto competitivi, perché dispongono di grandi aziende meccanizzate e moderne, il vino italiano non può battersi che puntando sulla cura artigianale, sulla diversità e sull’identificazione con il territorio.

I californiani hanno già provato a impiantare il nebbiolo per ottenere il Barolo: i risultati finora sono stati scadenti. E il Barolo resta inimitabile perché a certi livelli si ottiene solo in un’area limitata delle Langhe. Ma l’assalto continua e i tentativi di riprodurre altrove i vini tipici italiani si ripeteranno. “In questa situazione - afferma Caprai - sarebbe un errore farci la guerra fra di noi. Oggi a Torino produttori, amministratori, esperti cercheranno di porre le basi per quello che qualcuno ha definito il “lodo del Lingotto”: un gentlement agreement fra le Regioni, che le vincoli a non appropriarsi delle denominazioni più tipiche di altre zone (possibilità che oggi è invece consentita dalla legislazione vigente) e a non farsi una guerra fratricida, mentre i nuovi produttori internazionali stanno provando con ogni mezzo a produrre il Sagrantino australiano, il Brunello cileno e lo Sciacchetrà sudafricano.

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