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Il Secolo Xix

Brunello, un mito di 50 anni ... «Franco Biondi Santi fa una degustazione al Greppo di sette vendemmie di Brunello. Una decina di persone, non di più. Ti va di partecipare? ». Come dire di no? La Tenuta Greppo è un blasone dell’enologia italiana, Biondi Santi ha fatto la storia del Brunello di Montalcino e Franco è custode rigoroso e convinto di una tradizione che è cultura e patrimonio non solo di una famiglia, ma di un territorio unico. I suoi antenati già nell’800 avevano intuito le grandi possibilità del vitigno Sangiovese nel terroir di Montalcino, dove il vino locale più apprezzato era, invece, il dolce Moscadello cantato dal Redi nel “Bacco in Toscana”. Il nonno Ferruccio “inventò” il Brunello, rosso ottenuto al 100% da uve Sangiovese. E il padre Tancredi, enologo di fama formatosi all’Istituto di Conegliano, lo perfezionò selezionando cloni particolari.
Negli ultimi anni, tuttavia - sulla scia della nouvelle vague generata dai supertuscan, i nuovi rossi toscani ottenuti da mix di Sangiovese e vitigni internazionali (Cabernet, Merlot, Sirah), affinati in piccole botti di rovere francese (barriques) e molto apprezzati dalla critica internazionale - il modo di fare il Brunello è cambiato. Sono stati impiantiti molti vigneti, anche in zone calde. Sono in parte mutate le tecniche di vinificazione e il vino principe di Montalcino è diventato un rosso potente e concentrato, con aromi fruttati e sentori tipici del legno. Questi vini, quando escono sul mercato a cinque anni dalla vendemmia (come richiede la Docg), sono già pronti, laddove i Brunelli tradizionali, più scarichi nel colore, eterei nei profumi, variegati al gusto, necessitano in genere di ulteriore invecchiamento per esprimersi al meglio.
Anche se la sua filosofia è condivisa da alcuni produttori di pregio (primo fra tutti Gianfranco Soldera, che da 30 anni a Case Basse produce grandi Brunelli) e anche se il marchio Biondi Santi non ha mai cessato di essere un mito nel gotha internazionale dei vini, l’ottantaquattrenne signore del Greppo negli ultimi anni era apparso un po’ isolato, prigioniero, per alcuni, di una tradizione superata dai tempi. Tutte queste considerazioni affollano la mia mente mentre percorro lo stretto e lunghissimo viale di cipressi che introduce al Greppo. Franco Biondi Santi non è personaggio che si presti alla polemica, si limita al massimo a cenni garbati. Ma l’uomo è tenace e rigoroso ed è facile intuire che davanti a un gruppo di persone che porteranno in America, in Giappone, in Germania, in Gran Bretagna la testimonianza di questa esperienza, risponderà con i suoi vini. «Vi ho invitati - esordisce - perché, sapendovi qui per Benevenuto Brunello, dove viene presentata l’annata 2001, possiate confrontare quello del Greppo con gli altri Brunelli. Ci sarà quindi l’annata 2001 (la Riserva uscirà il prossimo anno, n.d.r.), l’annata e la riserva 1995, le riserve 1999, 1985, 1975, 1964, 1955. E poi una sorpresa».
Cala il silenzio: il Brunello Riserva Biondi Santi 1955 è l’unica etichetta italiana inserita dalla rivista Wine Spectator nel ristretto gruppo dei “12 vini da sogno” del ‘900, insieme a fuoriclasse come Chateau Margaux 1900, Chateau Pétrus 1961, Domaine de la Romanée Conti 1937, Chateau d’Yquem 1921 e pochi altri. Ma è la Riserva 1964 che a Biondi Santi preme far assaggiare. «In una recente degustazione a Londra - spiega - accanto a questo vino è stato messo un punto interrogativo. Era una bottiglia acquistata sul mercato, non so come sia stata conservata. Giudicheranno loro». Prima però, si impone una breve visita in cantina. Un rapido passaggio fra i tini di legno, le vasche di cemento e le grandi botti di rovere di Slavonia (qualcuna addirittura centenaria) dove il Brunello del Greppo matura per 36 mesi. Poi per una ripida scaletta si accede alla sala di degustazione dove il cantiniere ha schierato su un tavolino le otto bottiglie proposte, sette in piedi, l’ultima, il ’55, adagiata nel cestino.
Le bottiglie sono state aperte la sera prima. Si comincia con l’annata che entra ora in commercio: il 2001, già assaggiato in anteprima un anno fa a Vinitaly, si conferma un vino elegante, armonioso, con una struttura importante, ma la sua longevità non andrà oltre i 30- 40 anni (uscirà di cantina al prezzo di 65 euro). Anche per l’annata 1995 Biondi Santi prevede una vita di almeno 40 anni, ma per la Riserva (proveniente da vigneti vecchi di almeno 25 anni e uve eccezionali) le possibilità di invecchiamento si prolungano fino a 60-80 anni. E’ ancora giovane il 1985 Riserva, che «festeggia degnamente il centenario di una altra grande vendemmia, quella del 1891 (la prima risale al 1888)»: potrà invecchiare fino a 100 anni e oltre! Lo stacco si avverte con la Riserva 1975: il vino comincia a essere pronto, anche se ha una logevità di almeno cent’anni. Splendidi i profumi, sontuoso in bocca, una carezza di balsamica eleganza.
Il silenzio è totale. Biondi Santi sorride: «Se avete domande...». «Preferiamo parlare alla fine», si fa portavoce Kerin O’Kneef, autrice della biografia Franco Biondi Santi edita da Veronelli. Anche il 1964, un’altra riserva da cent’anni e più di invecchiamento, lascia sbalorditi. Il cantiniere versa il mitico 1955: il colore, dopo mezzo secolo, è limpido, rubino con riflessi aranciati! Penso a Giacomo Sasso, valente enotecario genovese, che nei nuovi Brunelli non si ritrova più («Non sento più i tre sapori in successione»). Qui si sentono, eccome! E sono quattro, perché al naso si avverte un’essenza balsamica dolce («L’ho ritrovato quel profumo - confermerà dopo il padrone di casa - aprendo un cassetto dovo mio figlio Jacopo aveva lasciato della pasta di tabacco melassata »). In bocca si avverte la successione dei sapori fondamentali: l’acidità, un cenno di amaro, la sapidità lunga, il tutto armoniosamente elegante, con un finale interminabile e note di frutta rossa, di ciliegia. Di questo monumento al Brunello in cantina c’è ancora qualche centinaio di bottiglie. Acquistarne una è possibile.
Ma il prezzo è stratosferico: 4.500 euro! «Venderle - aggiunge Biondi Santi - un poco mi dispiace - perché questo vino vivrà altri 50 anni». Quello che non si può comprare, invece, è la “sorpresa”, il Moscadello 1969, l’ultimo fatto dal padre Tancredi (autore anche delle Riserve di Brunello ’64 e ‘55): quelle viti furono estirpate poco dopo e i cloni si sono perduti. E’ un vino estinto quel nettare color ambra dai riflessi rossastri che delizia il palato. Ma forse non tutto è perduto. «Nella tenuta di mia moglie, I Pieri - rivela Biondi Santi - ci sono ancora vecchi cloni di Moscadello: li stiamo facendo analizzare» (arretrato del 2 marzo 2006).
Autore: Egle Pagano

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