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Il Secolo Xix

Valpolicella al bivio
tra quantità e qualità ... Se la crisi economica e la caduta
dei consumi delineano scenari
più difficili, rispetto a un anno fa,
per la vendita del vino italiano, c’è
anche chi scommette, con un pizzico
di temerarietà, sulla ripresa e
decide di raddoppiare la produzione.
È la Valpolicella, la zona vitivinicola
che si estende alle spalle di
Verona e che dalle sue uve autoctone
(Corvina, Corvinone, Rondinella
e Molinara) ottiene una
gamma variegata di vini, che va dai
Valpolicella freschi e beverini ai
Valpolicella Ripasso (rifermentati
sulle vinacce dell’Amarone), dal
pregiato Amarone,
rosso di gran corpo
ottenuto dalla pigiatura
di uve fatte
appassire per tre
mesi nei fruttai, al
Recioto, rosso
dolce, da meditazione.
Con la vendemmia
2008 - ha annunciato
Luca Sartori,
presidente del
Consorzio Tutela
Valpolicella, nel
corso della presentazione
in anteprima dell’annata
2005dell’Amarone (che entra ora in
commercio) - è raddoppiata, da 15,9
a 29,8 milioni di Kg, la quantità di
uva messa a riposo nei fruttai: premessa
per portare la produzione di
Amarone che uscirà sul mercato nel
2013 al livello record di 16 milioni di
bottiglie.
Un grosso business per un territorio che nel 2008 ha venduto 8,57 milioni
di bottiglie di questa tipologia,
con un fatturato di 205 milioni di
euro. Una sfida che tuttavia lascia
perplesso più d’un produttore,
anche se i mercati esteri che hanno
decretato il successo di questo vino,
sembrano offrire ulteriori spazi.
“Chissà se fra qualche anno
avremo ancora bottiglie come questa -
si chiede Giancarlo Bedogni, titolare
della Cantina Santa Sofia,
mentre stappa una bottiglia di
Valpolicella base 2006 - ora è tutta
unacorsa al Ripasso e all’Amarone e
ci dimentichiamo che è il Valpolicella
che ci ha fatto conoscere nel
mondo”.
Perplesso sull’allargamento si dichiara anche Luigi Biemmi,
enologo
di Cesari, cantina che esporta l’85%
del fatturato. “Non vorrei che l’immagine
dell’Amarone ne risentisse”, osserva Giuseppe Nicolis.
“Un po’ di preoccupazione c’è,
anche perché ci domandiamo: tutta
quest’uva che va in appassimento lo
merita davvero? Per di più in un periodo
di crisi come questo”, si
chiede Giampaolo Speri, esponente
di una storica azienda, che aggiunge:
“Noi facciamo 100 mila bottiglie di
Amarone e non aumenteremo”.
Sartori, però, mostra ottimismo.
“Il prodotto c’è, nella qualità e nella
quantità. La convinzione diffusa che
l’Amarone possa fare un anno in più
di invecchiamento, l’obbligo della
fascetta di Stato, che tutela il consumatore,
e, soprattutto
le ultime annate,
con ottime caratteristiche,
hanno portato a
questa scelta coraggiosa
e controcorrente
”. Gli stessi
casi di falsificazione
scoperti recentemente.
aggiunge il
presidente del Consorzio,
sono un indice
del successo di
questo vino, “che
peraltro vogliamo
proteggere sia con il contrassegno
obbligatorio (che assicura la tracciabilità,
verificabile sul sito del Consorzio),
sia con la registrazione del
marchio Amarone in 36 Paesi”.
Il Consorzio è anche molto attivo
nei controlli in cantina e nel vigneto.
“Da me quest’anno sono venuti due
volte. E mi ha fatto solo piacere”,
racconta Tiziano Castagnedi della
Cantina Sant’Antonio. Ai blogger,
agguerritissimi, del mondo del vino,
che del Brunello “corretto” con Cabernet
o Merlot hanno fatto nei
mesi scorsi un cavallo di battaglia,
non resta, così, che disquisire e accapigliarsi,
come hanno fatto il giorno
dopo “Anteprima Amarone”, se
siano migliori gli Amaroni tradizionali,
più austeri e contenuti nella
gradazione alcolica, o quelli moderni,
amati dai mercati esteri, che
ai profumi esplosivi di frutta rossa e
alla potenza abbinano note dolci
degne di un Recioto.

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