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Il Sole 24 Ore

Vino dealcolato, per i produttori è un’occasione da cogliere … Per Federvini e Uiv non bisogna perdere un’ opportunità che aprirebbe spazi tra i giovani e in aree di mondo dove gli alcolici sono vietati per motivi religiosi... Va bene la sovranità alimentare, un principio che risponde all’esigenza dei paesi di essere autosufficenti in un’ottica di sicurezza alimentare. Ma attenzione alle battaglie identitarie. Inseguire il mantra della tradizione rischia di chiudere le porte a nuove frontiere che invece possono indicare linee di sviluppo futuro. È quello che sostengono le principali imprese del mondo del vino made in Italy a proposito della tendenza a bollare come un’eresia la prospettiva del vino dealcolato, ovvero del vino senz’alcol o con un minore contenuto alcolico. L’universo delle bevande low alcohol si sta infatti rapidamente affermando all’estero, tra le giovani generazioni e in paesi senza una cultura del vino. Per questa fetta di consumatori i vini dealcolati possono rappresentare uno step intermedio di avvicinamento al vino tout court ma, soprattutto, per il mondo produttivo, potrebbero rappresentare un nuovo promettente sbocco di mercato. I vini dealcolati o dealcolizzati sono previsti in Europa dal regolamento 2117/2021 mentre si sta discutendo delle pratiche enologiche da autorizzare per produrli e delle regole sull’etichettatura. Più complesso, invece, il quadro normativo nazionale. La legge quadro del settore, il “Testo unico del vino” (Legge 238/2016) non contempla il vino senz’alcol e occorre individuare soluzioni normative per consentire alle cantine italiane la dealcolazione. Possibilità già prevista da altri Paesi Ue produttori. In questo contesto, continuare a opporsi pregiudizialmente a questa tendenza oltre che inutile rischia di essere controproducente. L’Italia è il principale produttore mondiale di vino con un vigneto nazionale di 680mila ettari. Tra tendenze che si stanno naturalmente affermando sui mercati e crociate antialcol portate avanti dall’Oms, c’è la reale possibilità che una fetta della produzione italiana finisca presto fuori mercato. Mentre invece l’opzione dei vini “depotenziati” soprattutto nel caso in cui ne venga ribadito il legame con l’uva e la produzione vitivinicola potrebbe garantire un futuro al settore e ai vigneti. Prospettiva che finora, e in maniera alquanto incomprensibile, non è stata messa a fuoco neanche dalle organizzazioni agricole. Nel mondo il 50% della popolazione non consuma bevande alcoliche per motivi religiosi o perché non le contempla nel proprio regime alimentare. Mentre la tendenza ai prodotti low alcohol si sta affermando anche nei paesi consumatori. Secondo le elaborazioni dell’Osservatorio dell’Unione italiana vini su dati della World Bank il consumo di alcol pro capite ha subito nell’ultimo decennio un decremento medio annuo del 3,2% in Italia, dell’1,8% nel Regno Unito, dell’1,4% in Francia e Paesi Bassi dell’1% in Germania. “Negli Usa – aggiungono all’Unione italiana vini – il consumo di prodotti Better for you (ovvero con meno alcol, meno calorie, meno zuccheri, vegan) è quintuplicato con un balzo nel fatturato complessivo da 22 a 113 miliardi di dollari. Nell’ultimo biennio i vini con gradazione inferiore ai 10 gradi sono cresciuti del 25%, mentre quelli del tutto privi sono aumentati del 65%. Secondo le previsioni dell’Iwsr in dieci mercati chiave i vini no/low alcohol cresceranno in media dell’8% l’anno con un raddoppio dei volumi entro il 2025. “La recente riforma Pac – ha detto la presidente di Federvini, Micaela Pallini – ha già introdotto questa categoria di prodotti. Il punto oggi è entrare nel merito delle caratteristiche enologiche e dei limiti da porre per consentirne la produzione e la commercializzazione. Noi siamo contrari solo all’ipotesi di aggiunta di acqua esogena al procedimento di produzione del vino, ma per il resto bisogna andare avanti. Siamo convinti che sarebbe sbagliato impedire alle aziende italiane, nell’ambito della dura competizione internazionale, di avvalersi di prodotti che potrebbero avere una positiva accoglienza in determinati contesti geografici, sociali e culturali, soprattutto a livello extraeuropeo”. “Il settore deve poter proporre anche prodotti diversi – ha aggiunto il presidente dell’Unione italiana vini, Lamberto Frescobaldi – in linea con le tendenze attuali. Secondo gli operatori del trade Usa il minor contenuto di alcol è una tendenza che si affermerà sempre più. Il settore del vino non ha alcun interesse a cedere all’industria delle bevande un prodotto che secondo Bruxelles va regolamentato all’interno delle norme viticole ed enologiche. Questi prodotti, esclusi per Dop e Igp, potrebbero offrire opportunità ai vini generici alleggerendo le giacenze nazionali. Occorre aggiornare la normativa nazionale per cogliere l’opportunità”. Nei giorni scorsi in una manifestazione a Bordeaux i vignerons a causa di prezzi in picchiata e di un’offerta di vino che non trova mercato, hanno chiesto al Governo francese aiuti per estirpare 15mila ettari di vigneti. In Italia la crisi ancora non morde, ma chiudere a priori alla chance del vino dealcolato ci porterà, dopo aver seguito la Francia sulla sovranità alimentare, a seguirla presto anche sulla strada della rottamazione dei vigneti.

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