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Il Sole 24 Ore / Agrisole

Sud Africa, la corsa dell’export … A partire dal ‘94 con la fine dell’”apartheid” le vendite all’estero di vini sudafricani sono salite del 700%... In aumento anche ettari e aziende – L’offerta dai bianchi dolci si è allargata a nuove categorie… Nel 2009 i viticoltori sudafricani hanno celebrato con grande orgoglio i 350 anni dei loro vini. Ma, in verità, l’industria locale, come per molti versi lo stesso paese, di anni ne ha appena 17. Fino al 1994, ovvero alla caduta del regime dell’apartheid, i vini del Sud Africa erano segregati dentro i confini nazionali: meno di 50 milioni
di litri venivano esportati e raggiungevano le tavole europee e americane. Con la democrazia i vini
bianchi e rossi ricavati dai vitigni di Cabernet e Pinot noir, di Pinotage e Shiraz, di Merlot e Chenin blanc, di Chardonnay e Sauvignon blanc destinati all’Europa, e più tardi agli Stati Uniti, hanno
spiccato il volo tanto che nel 2008 e nel 2009 le esportazioni si sono attestate attorno ai 400 milioni di litri, pari circa alla metà della produzione (si vedano le tabelle a fianco), con una crescita del 700 per cento. L’exploit sui mercati stranieri, in particolare europei ma anche nord-americani, è stato accompagnato dalla crescita sia delle aree a vigneto – che sono passate da 90mila a 101mila ettari – che degli impianti con oltre quattro anni di vita, quindi produttivi, saliti da 77mila a 94mila ettari. La produzione complessiva di vino è cresciuta da 711 milioni di litri nel 2005 a 876 milioni di litri nel 2009. Insieme al numero delle cantine che dalle 212 del 1991 sono passate alle 604 del 2009. In diminuzione, invece, i viticoltori, scesi dai 4.786 del 1991 ai 3.667 del 2009. Negli ultimi anni le varietà di rosso sono molto aumentate e ora rappresentano il 45% del totale mentre i bianchi, tradizionalmente prevalenti (con anche una tradizione radicata nei vini dolci), coprono il restante 55
per cento. A fornire le statistiche sulla viticoltura del paese è Wosa, Wine of South Africa, organizzazione non profit fondata nel 1999 dagli stessi produttori per avere aiuto nel marketing e nell’esportazione. “Insieme con la costituzione di Wosa – si legge nella brochure dedicata all’anniversario dei 350 anni – una nuova generazione di giovani produttori ha potuto viaggiare all’estero e ritornare con nuovi strumenti, nuove tecniche e nuove idee. Così abbiamo migliorato enormemente la qualità e iniziato a vincere premi all’estero”. La produzione di vini sudafricani inizia, dunque, nel lontano 1659, quando il governatore Jan van Riebeeck, inviato dalla Compagnia
olandese delle Indie orientali per impiantare vicino al Capo di Buona Speranza, una stazione di approvvigionamento viveri per le sue navi, primo nucleo di quella che sarebbe diventata Città del Capo, pigiò per la prima volta l’uva raccolta. Solo dal 1688, però, con l’arrivo di un gruppo di 150 ugonotti francesi scappati dalle persecuzioni, tra i quali alcuni esperti agricoltori, la qualità del vino migliorò nettamente. Tanto che dall’inizio del ‘700 i dolci di Constantia prendono la strada dell’Europa, dove verranno acclamati da Federico di Prussia e Napoleone, da Baudelaire, Charles Dickens e Jane Austin. Oltre il 95% delle aree a vigneto si trova, appunto, nella regione del Western Cape, circondata da un lato dall’Oceano Indiano e dall’altro dall’Atlantico: il terreno, vecchio di0 milioni di anni, è incredibilmente fertile e adatto alla coltivazione della vite in profonde e ampie valli, al riparo di alte montagne. Proprio quest’area, la “Cape floral kingdom”, è una delle sei “Floral kingdom” del mondo e costituisce un “World heritage site” per l’incredibile varietà di piante: 9.600, più che in tutto l’emisfero nord, il 70% delle quali cresce solo qui. Per preservare la biodiversità i viticoltori sudafricani, dal 1998, prima di realizzare nuovi impianti sono obbligati a tenere un audit botanico e a pianificare la conservazione delle specie a rischio: molti di loro, spontaneamente, lasciano allo stato naturale parte dei terreni.

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