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Il Sole 24 Ore / Inserto Cultura

A me mi piace - Bollicine a tutto pasto ... Stura, stura bum. Grida il cantore del vino, Paolo Frola from Rocchetta Tanaro. Un suono che rieccheggia allo scoccare della mezzanotte del 31 dicembre quando milioni di bottiglie si aprono alle bollicine che entrano con sensualità nei calici. Può sembrare una bestemmia, ma quello buono, lo spumante o anche lo champagne, gustatelo prima, a tavola, con antipasti, primi piatti e perché no, anche con il capitone o, sacrilegio, pure con zampone o cotechino e lenticchie. Al brindare degli auguri, destinate o lo stesso spumante o champagne, se il bilancio lo permette, oppure ricorrete alla serie B (ci sono tantifrizzanti inutili). È sprecatodestinare tantobendi Dio a una sorsata poco interessata,destinatasoloadirsi "buonanno", così come è superficiale invitare alle bollicine solo una volta all'anno, addirittura a mezzo tra una fine e un principio.Che sia uno scherzo, puòpensare qualcuno... Non proprio, perché sono convinto che spumante metodo classicoitalianoe champagne siano soprattutto vini a tutto pasto, mentre ci sono frizzantini da merenda o da brindisi e basta! Per carità chi può fa benissimo a fare l'uno, due a mezzanotte! E mi voglio anche sbilanciare nel consigliare, al ritmo di a me mi piace, un quintetto di bollicine con metodo classico, adatto al cenone, compreso l'alzare i calici con bacio incorporato. Cominciamo dalla Franciacorta, dove lo spumante classico si chiama semplicemente Franciacorta Docg: Bellavista Gran Cuvèe Brut'98, Cà del Bosco Cuvèe Annamaria Clementi'95, Uberti Satèn Magnificentia, passiamo quindi in Trentino a Ferrari, riserva del Fondatore, quindi in Piemonte, dove Bruno Giacosa, con il suo Giacosa brut'99 continua a stupirmi. Se le bollicine parlano italiano, che dire dei bianchi e dei rossi? Innanzitutto non è necessario disporre della patente di "futurologi" per prevedere un anno di successo per gli "autoctoni" o "storici" o "territoriali", fino a oggi poco considerati. Lo conferma un sondaggio di «Winenews» che afferma essere in atto una ricerca di «territori inesplorati e poco battuti», lasciando le griffe a tutti i costi ai ricchi dell'ultima ora. E allora devo quindi sbilanciarmi anche su questo: indicare produttori meno noti o vini, ottenuti da vitigni, come prima sottolineato, per lungo tempo snobbati in favore dei soliti noti (cabernet sauvignon,merlot, chardonnay, sauvignon... e fra poco sirah). Confesso di aver preso una cotta solenne per i vini della Campania, le mie previsioni sono di una regione ai primi posti nella hit parade nei prossimi anni (non sono il mago Nicola). Li trovo vini veri, dove l'intervento del concentratore e dei trucioli non è dominante come il altre parti; li sento pieni di storia e di terroir. I nomi, eccoli: il Fiano di Avellino, vigna della Congregazione di Villa Diamante, il Greco di Tufo di Benito Ferrara, il Fiano d'Avellino Bèchar di Caggiano, la Falanghina delle cantine Farro, il Kratos di Maffini (oltre al Cenito, rosso ottenuto con aglianico e piedirosso), il Caracci di Villa Matilde, che produce anche un eccellente Falerno del Massico rosso, vigna Camarato. La lista potrebbe continuare ma passiamo ai rossi dove mi hanno stregato i vini della cantina Michele Moio di Mondragone (Caserta), soprattutto guardandoal rapporto qualità-prezzo, a cominciare dal Falerno del Massico Primitivo e il Primitivo Maialatico'99. Non di meno mi ha entusiamato la selezione Don Alfonso (ilristorantedi Sant'Agata dei due Golfi) di un rosso delle valide cantine di Pietratorcia d'Ischia (in particolare di quest'isola voglio segnalare un libro su Mario D'Ambra, uno dei protagonisti pionieri della viticoltura campana, scritto dalla giornalista Manuela Piancastelli). E ancora grande entusiamo di fronte ai vitigni autoctoni, riportati alla ribalta dall'azienda Vistini Campagnano di Caiazzo (Caserta): il Casavecchia e il Pallagrello rosso. Non pochi meriti vanno a Luigi Moio, un wine maker autoctono che ha contribuito non poco alla crescita della viticoltura della sua regione, a cominciare dai risultati ottenuti con la cantina del Tiburno con il vitigno aglianico (Bue Apis e Dellus). Si tratta di un "autoctono" che davvero sta conquistando i palati di molti nasi sopraffini anche al nord. E oltre alla cantina di Foglianese (BN) una citazione corre ai Viticoltori De Concilis (Prigano Cilento-Salerno) per il Naima, mentre ho ancora impresso il ricordo di un paio di annate di Taurasi, vigna Macchia dei Golfi, di Antonio Caggiano (Taurasi, Avellino). Come può mancare l'assolata Costiera amalfitana? Eccola ben rappresentata dal Furore rosso e dal Furore bianco fior d'uva delle cantine Gran Furor di Marisa Cuomo. Insomma chi volesse un cenone tutto "autoctono" ha una scelta campana davvero formidabile, cui possono essere aggiunte anche le etichette di due aziende note come Montevetrano e i Feudi di San Gregorio, le quali da anni hanno rilanciato l'immaginedi un territorio ricco di storia vinicola e di bianchi e rossi che sanno di terra, non di legno.

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