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Il Sole 24 Ore / Nova

La vite nasce senza più muffa ... Gli incroci hanno portato a filari resistenti ai funghi. Senza bisogno di pesticidi... Si usano ogni anno 100.000 tonnellate di pesticidi in Italia, di cui il 40% destinato al compatto vitivinicolo. Oggi possiamo salutare una volta per tutte il vino ai pesticidi, e senza ricorrere a tecniche Ogm. Sono questi i risultati del lavoro di Raffaele Testolin, ricercatore e docente presso la facoltà di Agraria dell’università di Udine, che da otto anni si è dedicato ai geni della resistenza ai funghi patogeni dell’uva. “La vite viene coltivata fin dalla preistoria - spiega Testolin - e ciò significa che da lungo tempo su di essa ha operato non la selezione naturale, che porta alla sopravvivenza del più adatto, ma la selezione artificiale, che ha posto attenzione solo alla qualità e alla grandezza dei frutti. Trascurando la resistenza alle malattie, che è stata garantita finora da un massiccio uso di pesticidi”.
Esistono circa sessanta specie di vite oltre alla vitis vinifera, la comune vite europea. Di queste una trentina sono originarie del nuovo Continente e ne troviamo altrettante in Asia, in Cina soprattutto, dove si produce una pregevole uva da tavola. Ma per la soddisfazione dei campanilisti del Vecchio Mondo, solo la vite europea dà buon vino. Le cugine americane e asiatiche hanno però una marcia in più per quanto riguarda l’immunità: possiedono i geni della resistenza ai funghi patogeni, quali la peronospora e l’oidio, nemici numero uno dei vigneti europei. Importati dal Nordamerica, misero in ginocchio la viticoltura di fine 800. Aggrediscono foglie e grappoli, facendo seccare gli acini. “Per difendere le viti da questi due funghi - spiega Testolin - da qualche altra malattia meno grave e da alcuni parassiti, come le tignole, l’industria viticola mondiale consuma poco meno di un milione di tonnellate di pesticidi con un costo attorno agli 8 miliardi di euro. A parte il costo economico è necessario considerare i prodotti nocivi che vengono trasferiti in parte all’ambiente e in parte al vino”.
Ed ecco la novità: tramite la tradizionale tecnica degli incroci si possono combinare i geni della resistenza americana e cinese con la qualità del vino europeo. Selezionando solo i ceppi che allo stesso tempo siano resistenti ai patogeni e diano buon vino. “Abbiamo iniziato a incrociare varietà di vite da vino (Chardonnay, Cabernet Sauvignon, Sangiovese,...) con linee resistenti alle malattie già nel 1998”, racconta il professore. “Attualmente abbiamo circa 6mila incroci in osservazione e una buona percentuale di piante resistenti sia a peronospora che oidio”. Ma c’è di più: con la moderna selezione assistita da marker non sarà necessario piantare le viti in filari e aspettare cinque anni che diano il frutto. In un paio di mesi, appena il tempo che mettano le prime foglie, sarà possibile praticare la selezione soltanto esaminandone il corredo genetico. Con un risparmio incalcolabile di tempo, fondi e lavoro. “Prevediamo già dal 2007 o al più tardi dal 2008 di essere in grado di applicare la selezione assistita da marcatori ai nostri incroci”, aggiunge Testolin. Questi sviluppi sono resi possibili dal sequenziamento del genoma della vite, un progetto italo-francese che si svolge tra Parigi, Padova e Udine.
Il primo sequenziamento globale che abbia visto una determinante presenza italiana. “Abbiamo completato cinque volte il sequenziamento del genoma della vite”, afferma Michele Morgante, collega di Testolin e responsabile del laboratorio di sequenziamento al Parco scientifico di Udine. Ma il lavoro sarà ultimato entro il 2007, quando arriveremo a 10-11 coperture dell’intero genoma. Questa ridondanza serve per essere sicuri di non aver tralasciato nessun gene. Fin adesso il progetto si è concentrato su una linea pura di Pinot nero, detto PN00424, ma l’ambizione è quella di scoprire tutte le varianti possibili. La vite ha 40.000 geni, per ognuno dei quali potrebbero esistere 4-5 versioni alternative, dette alleli. Si può solo immaginare il numero delle combinazioni possibili in cui si possono presentare. “Il genoma del Merlot diverge da quello del Cabernet più di quello dell’uomo dallo scimpanzé”, sorride il professore. Consapevoli dell’utilità dell’impresa, dalle banche di credito cooperativo alle aziende vitivinicole private, dai vivai cooperativi di Rauscedo alla Eurotech, enti e imprese hanno fatto a gara per sponsorizzare il professore con i colleghi Morgante, Policriti e Di Gaspero. “Il primo progetto italiano, detto progetto Vendemmiaio, è nato nel 2002. Poi si sono affiancati i francesi e nel 2005 è nato il progetto Vigne/Vigna”. Ma è ancora lunga la strada per comprendere tutte le possibili varietà di vite da vino. Coltivata fin dal Neolitico, ciascun ceppo ha evoluto al suo interno decine di sottotipi, significativamente diversi fra di loro. E siamo sulla strada di identificare queste differenze attribuendole a geni precisi. “Noi cerchiamo le varianti genetiche già esistenti per valorizzarle”, rassicurano gli scienziati. A buon punto è anche il sequenziamento del genoma di pesco, melo e frumento. Per questo e altri progetti gli studiosi hanno appena inaugurato la loro nuova piattaforma di sequenziamento nel neonato Istituto di Genomica applicata a Udine. Vale a dire una delle pochissime postazioni in Italia dove esistono i macchinari per sequenziare velocemente un intero genoma. Per brindare, come dice il loro motto, alle radici della diversità.

Il vino migliora con il gene...
Gli studiosi di Udine stanno cercando di associare alle diverse varianti dei geni i vari profili di gusto e le caratteristiche dei vini. Qualcosa già è possibile sapere su come sono determinati geneticamente colore e acidità del vino, che dipendono rispettivamente dal contenuto in antociani e vari acidi organici. Su questa linea, per arrivare a vini vicini alla perfezione già fin dall’uva, ci sarà da lavorare per i prossimi vent’anni.


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