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Il Sole 24 Ore / Nova

Collaboriamo (per) bacco ... Economia del vino. Un’eccellenza tutta italiana... Il successo scientifico dei ricercatori di Udine e Trento va capitalizzato per non perdere il vantaggio sugli altri... A cosa serve un genoma? È stato il Nobel italiano, Renato Dulbecco, a suggerire per primo nel 1986 che il sequenziamento del Dna avrebbe avviato una rivoluzione prima nella biologia e poi nella vita di tuffi i giorni. Allora erano in pochi disposti ad ascoltarlo; poi abbiamo visto, e vediamo, quanto Dulbecco avesse ragione. Gli unici a non prestare orecchio alle sue parole profetiche sono stati proprio i suoi connazionali, i ricercatori e policy maker italiani: una partecipazione irrisoria al progetto genoma umano completato nel 2001, un’assenza totale da tutti gli altri grandi progetti genoma di vertebrati, piante e mammiferi, fino allo studio della finzione del genoma Encode. Sembra che almeno su una specie abbiamo intenzione di rifarci. E il genoma, congruo ad alcuni tratti del carattere nazionale, è quello della Vitis vinifera, noto più come etichetta sulle nostre tavole, Pinot Noir.
Lo scorso settembre è uscito, a opera di un consorzio franco- italiano nel quale prevaleva da parte nostra il contributo di scienziati di Udine, il primo draft (bozza), una versione in progress ma già sufficientemente estesa da trame rilevanti considerazioni. Ora, dopo meno di tre mesi, esce un nuovo genoma della vite più completo, a opera questa volta di quasi un unico centro italiano, il trentino Istituto Agrario di San Michele all’Adige (Iasma), con piattaforme tecnologiche Usa, grazie al sostegno economico della Provincia autonoma di Trento. Mentre il primo genoma è stato pubblicato sulla rivista Nature, questo secondo vede la luce sulla rivista più “sperimentale” della nuova comunicazione scientifica in rete, Plos Gite, ad accesso libero. Chiunque volesse togliersi la soddisfazione di leggere meglio cos’è biologicamente ciò che beve tutti i giorni, può accedere al testo che commenta i 29.585 geni di questo nuovo draf, più di quelli umani che sono circa 23.000, ma stipati nello spazio sei volte più ristretto di 500 milioni di nucleotidi. Oltre a stare più stretti che nelle nostre cellule, il lavoro dello Iasma ha anche identificato circa due milioni di variazioni elementari. Le quali ci dicono molto sulla plasticità, sulla duttilità della specie vite, oltre a fornire uno strumento prezioso per il lavoro futuro.
Se infatti il genoma franco-udinese ci raccontava una storia interessante sull’evoluzione del gruppo di piante a cui la vite appartiene, le dicotiledoni, questo nuovo, che non è realizzato come il precedente su un clone da laboratorio per eliminare l’alta variabilità, ma su un clone “da lavoro”, il vero vitigno Pinot Noir da cui elaboriamo tanti dei nostri vini, è un genoma più operativo, che si proietta immediatamente nella pratica - e nell’economia - del pianeta-vino. I ricercatori trentini hanno fra le altre cose mappato sul genoma della vite molti geni di resistenza alla malattia, fornendo per quasi 300 di essi anche informazioni sul contenuto di variabilità, insieme a geni implicati nella qualità del grappolo e di conseguenza del vino che ne deriva. Ciò significa che, date sufficienti risorse e sufficiente expertise in materia, è possibile far iniziare da domani l’era degli incroci “informali” della vite, per arrivare a cloni più resistenti a virus, batteri e funghi pur mantenendo, o magari migliorando, le caratteristiche organolettiche. Il che vuol dire ridurre l’impiego di fitochimici e aprire l’era degli incroci intelligenti chiudendo quella gloriosa ma inefficiente e molto aleatoria, degli incroci empirici.
L’èxpertise, come hanno dimostrato i ricercatori di Udine e come ora certificano quelli di Trento, in Italia c’è. C’è quindi lo spazio, una volta tanto, per un reale vantaggio competitivo di ricerca e innovazione legato a un capitolo cruciale della nostra economia. Ma attenzione: i due genomi della vite sono pubblici, quindi il vantaggio può essere rapidamente annullato da intraprendenti genetisti (francesi, californiani, australiani, cileni e - perché no - cinesi). Perché allora i ricercatori e i policy maker trentini e friulani non si siedono intorno a un tavolo per fare di questi successi scientifici la base per consolidare e ampliare la nostra sempre più minacciata prevalenza nell’economia del vino, in uno sforzo solidale e integrato? Il professor Dulbecco, forse un po’ stupito di dove ci sta portando la sua intuizione di diversi anni fa, non vorrebbe niente di diverso per la chance che ci è data sul primo genoma veramente italiano nella storia della nuova biologia.

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