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Il Sole 24 Ore

Il vino lancia all'estero la qualità italiana. Secondo il rapporto Mediobanca-Il Sole 24 Ore il settore registra elevati tassi di crescita sui mercati: l'export vola a 2,6 miliardi euro. Nel 2001 i ricavi delle aziende in aumento del 6,9% - La redditività ha superato la media dell'industria ... Al di là di ogni attesa e smentendo le cupe previsioni che pure qualche mese fa era lecito e comprensibile fare. Le imprese vinicole italiane anche nel 2001 hanno messo in cantina un ottimo prodotto e incamerato risorse utili per la gestione corrente e per il futuro: i ricavi complessivi sono infatti cresciuti del 6,9%, con il fatturato domestico aumentato del 4,9% e quello da export che è lievitato di un ulteriore 9,4 per cento. E questo a fronte di una situazione della domanda interna e delle esportazioni che avrebbero accusato un arretramento quantitativo stimato sopra il 10% in ragione d'anno, ma con il valore che per la prima volta vola oltre i 2,60 miliardi di €. Per il sesto anno consecutivo, dunque, l'investimento nella vigna e nel vino viene premiato dal mercato. Di fatto si consolida il principio che a fare la differenza è il miglior rapporto qualità-prezzo della bottiglia, dove la qualità è la discriminante che fa il successo di un'etichetta: questa opportunamente sostenuta da un'accorta politica di marketing accelera i ricavi, crea reddito e migliora l'immagine; attribuendo così alla casa vinicola il valore che solitamente si riconosce a una griffe dello star system. Il vino come la moda? Proprio così. Gli ambiti già bene definiti neglio anni passati, vengono ora accentuati dal terzo rapporto sulle imprese vinicole italiane realizzato da Mediobanca per «Il Sole-24 Ore». Il "focus" 2002 non solo dà forza all'equazione vino di qualità = prodotto di successo, ma rende palpabile il trend virtuale della crescita in atto nell'impresa vinicola. Una tendenza, questa, che ha imboccato la fase ascendente a metà degli anni 90 e proseguire successivamente a ritmi sempre più decisi. Al punto che gli indicatori economici e di profittabilità dal '96 sono in costante crescita, ormai allineati a quelli relativi alla media delle imprese in generale, con due sorprendenti sorpassi. E infatti se l'indice relativo al ritorno sugli utili (Roe) sale dal 9,5 del '99 al 10,2 nel 2000 e si affianca all'indice generale, pari al 10,9, gli altri due indicatori di profitto mettono a segno il colpaccio: il ritorno sul capitale investito (Roi) si porta a 11,6, superando per la prima volta l'indicatore delle industrie in generale, fermo a 10,9; ancora meglio ha fatto il margine operativo netto con l'8,5% del fatturato per le aziende vinicole, rispetto al 6,7% del risultato operativo complessivo. L'indagine della banca d'affari di piazzetta Cuccia quest'anno peraltro ha allargato il proprio orizzonte di analisi. Il campione di ricerca è infatti rappresentativo di un quarto (un anno fa era un sesto) del valore totale della produzione vinicola e del 34% del valore delle esportazioni. L'allargamento ha permesso innanzitutto di stimare con maggiore precisione il valore produttivo dell'universo vinicolo, pari a 7,2 miliardi di € (7,4 con le importazioni), di cui 5 miliardi rappresentano il consumo apparente domestico. Si tratta, come detto, di una indicazione alla fase intermedia della filiera vinicola, vale a dire che al consumo questo business presumibilmente si avvicina agli 8 miliardi di €. Per l'ufficio studi di Mediobanca «il miglioramento dei risultati è riconducibile da un lato alla crescita delle aziende e, dall'altro, al miglioramento della qualità della produzione». La crescita delle prime è stato determinato da «un incremento delle vendite, che tra il 1996 e il 2000 è stato pari al 32%, mentre la crescita del capitale investito è stata del 36 per cento. Quanto alla qualità, il miglioramento dell'immagine e del prodotto si è tradotto in uno sviluppo del valore aggiunto superiore a quello del fatturato: +48 per cento. Tutte le aziende, inoltre, hanno puntato sulle produzioni di qualità come fattore essenziale di crescita. Emerge, infatti, che a fronte di un ridimensionamento strutturale della superficie vitata (tra il 1990 e il 2001 si è passati da circa 900mila a 800mila ettari) e con un consumo pro-capite che non ha dato segni di inversione (attualmente si è a 54 litri a testa), i reimpianti hanno nettamente privilegiato i vigneti a denominazione di origine controllata e controllara garantita. La cui incidenza sulla produzione vinicola nazionale ha raggiunto il tetto del 20 per cento. Un livello che comunque è ancora ben lontano dai valori percentuali di altri paesi della stessa Unione europea. Di converso anche le scelte dei nuovi vini ha di fatto premiato l'area dei prodotti di qualità. Negli ultimi cinque anni le sole aziende del campione hanno creato complessivamente 125 nuove etichette, con i prodotti Doc e Docg che fanno la parte del leone. Ma la sorpresa sta nel numero dei cosiddetti "grandi vini" (il "focus" fissa il prezzo medio di questi vini in 25 euro a bottiglia) che è di fatto triplicato. Tutti questi sforzi non arrivano mai da soli. A fronte della maggiore qualità corrisponde anche un inevitabile impegno delle imprese nella ricerca di nuove tecnologie da portare in azienda e in nuovi investimenti nella rete commerciale, ma anche in una maggiore propensione al marketing e alla comunicazione. A questo proposito è indicativo il fatto che in un anno, il 2001, in cui la spesa pubblicitaria ha accusato un arretramento del 3%, al contrario le maison del vino hanno accelerato i propri investimenti di un abbondante 10 per cento. Una tendenza che dovrebbe continua anche per i prossimi anni, tanto più che alla richiesta di indicare come il settore vinicolo evolverà nel 2002 il 99% del campione ha risposto positivamente.

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