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Il Sole 24 Ore

Italiani - L'intervista di Aldo Carboni - Il luogo dove preferisco stare? Tra le vigne californiane ... Marcello Monticelli è nato in un piccolo paese sull'Appennino pistoiese, vive a Windsor in California, ha 57 anni e fa l'enologo. Di anni ne aveva due, quando è andato in America insieme ai suoi genitori. E prima di loro era stato un nonno ad aprire la strada; una storia di emigrazione, e di successo, vale la pena di raccontarla: tra l'altro, da questa domenica, ed è la prima volta, gli italiani all'estero votano nelle nostre elezioni. «È cominciato tutto nel 1910 col nonno Cesare, partì da Rivoreta, poche case tra i boschi dell'Abetone, un monte che sta sul confine tra la Toscana e l'Emilia: erano tanti in famiglia, sedici tra fratelli e sorelle, troppe bocche e il pane non bastava. Andò in California, dove altra gente delle parti di Pistoia era emigrata prima di lui». «Lavorò da boscaiolo, contadino, da stagionale nelle vigne; risparmiò, comprò un podere, venti acri (all'incirca, nove ettari), aveva filari di viti, produceva uva di quattro qualità, e il vitigno dello zibibbo, i chicchi dolci, liquorosi che si possono anche appassire, gli dava i guadagni migliori. Al paese era rimasta Zelinda, la ricordava appena, era la fidanzata di uno dei suoi fratelli, che aveva promesso di prenderla in moglie: e promessa era rimasta, un colpo di fucile l'aveva stecchito il primo giorno della Grande Guerra. Da casa scrissero a Cesare, in fondo era ancora scapolo, la famiglia sentiva di avere un obbligo, gli chiedeva se non fosse disposto a rispettarlo lui invece del fratello morto. Nella busta, insieme alla lettera c'era una fotografia, e la ragazza aveva un'aria sveglia e allegra. Cesare rispose, Zelinda partì. Aveva vent'anni, in una volta sola scoprì treno e mare; e poi la nave, a New York vide anche le automobili. Alla stazione, enorme, un intrico di binari, non si sa come, riuscì ad indovinare il vagone giusto, arrivò. Poche settimane e si sposarono davanti a un pubblico ufficiale; e l'anno dopo in chiesa, giusto il tempo che ne finissero una, nei paraggi. Cesare, ora, faceva anche il vino, con la sua uva e con quella che comprava da altri produttori; e insieme al vino, faceva anche i soldi». «Decise di prendersi una vacanza, nell'estate del 25: la famiglia tornò in Italia, al paese, e c'era anche mia madre. Pensavano di fermarsi un mese, al massimo due; il nonno ritrovò gli amici e anche i luoghi gli sembravano più belli, comodi e larghi, ora che si era messo dietro le spalle l'assillo della miseria. Restarono; in California c'era un fratello a mandare avanti il podere. Cesare ne comprò un altro, aveva vigneti, ne cavava vino e lo mescolava con quello che prendeva nell'Italia del Sud, per aumentare quantità e guadagno. Costruiva luoghi di ritrovo, case del popolo, gli piacevano il fiasco, le carte e la buona compagnia. Antifascista, era diventato fascista dopo la guerra, per spirito di contraddizione, e per il fastidio dei voltagiubba, una volta ammiratori del Duce e che ora gli spiegavano quanto Mussolini fosse stato carogna. Divisioni e litigi anche in famiglia, coi fratelli e con uno in particolare, da sempre comunista accanito. La Linea Gotica, del resto - quella che nel lungo inverno tra il '44 e il '45 aveva tagliato in due l'Italia, sotto inglesi e americani, sopra tedeschi, partigiani e repubblichini di Salò - proprio la Linea Gotica gli aveva attraversato il podere e l'aveva mezzo distrutto». «Mio padre tornò a casa a metà del '45, e mia madre che lo aspettava da promessa sposa aveva avuto di lui, e per quattro anni, scarse notizie. E non perché fosse un tipo particolarmente riservato, le traversie della guerra l'avevano portato in qua e in là tra la Grecia e l'Albania; scappò, venne ferito mentre passava il mare verso la Puglia, finì a Bari in ospedale, prigioniero degli inglesi. La penicillina gli salvò un braccio. L'aria del dopoguerra non gli piaceva, gli animi accesi, la coda del conflitto civile esalava veleni, i più fanatici lo accusavano di ignavia o di tradimento. Siamo partiti nel '48, destinazione Madera, California, nell'interno, a mezza via tra Los Angeles e San Francisco». «Il podere c'era ancora, al centro di una zona, un'enclave tutta italiana. Al punto che il primo giorno, a scuola, fui sorpreso che la lingua fosse un'altra, l'inglese, non ne capivo niente. Dell'istruzione americana mi è piaciuto tutto, meno quello che ti danno da mangiare, nell'intervallo tra le lezioni. Così, mi portavo dietro panini preparati da mia madre e un termos riempito di vino e acqua mescolati: bevevo con gusto e un compagno di banco, incuriosito, mi chiese che roba fosse: turbato, raccontò tutto alla maestra. Successe un mezzo scandalo, in California non puoi bere alcolici se non hai ventun'anni, mandarono a chiamare i miei genitori, c'era una regola, andava rispettata. Ma alle medie ho ricominciato, panini e acqua e vino, c'era un insegnate di origine italiana, chiudeva un occhio. Fu lui anzi a consigliarmi «visto che ti piace, perché non impari a farlo»; gli ho dato retta, a Fresno, all'università, ho studiato enologia. Dopo, il primo lavoro è stato per una cantina, l'etichetta della roba che produceva era Mad Dog - Cane Matto, o qualcosa del genere - e si capisce perché, una bomba dolce e sciropposa, 20% alcol, 20% zucchero, mezza bottiglia e sei già ubriaco. Poi, una proposta dalla Gallo, avevo 23 anni, non ho più cambiato». «Giulio, il fondatore, piemontese di origine, passava ogni mattina, assaggiava, chiedeva; siamo diventati amici, e il rapporto si è esteso alle famiglie. Alimentato anche dal gusto comune per la cucina, per i piatti e i sapori della nostra tradizione: mio padre faceva allevare qualche maiale, il prosciutto non mancava mai, ma c'era passione anche per l'ossobuco, la polenta, le buone bottiglie. E per i funghi, la cerca dei funghi, uno degli svaghi prediletti, nei boschi della California non è difficile trovare porcini sontuosi. Li segnala un rigonfiamento del terreno, una cupoletta, come se ci fosse una bolla d'aria sotto, a sostenerla. Al posto del porcino, una volta trovammo una bottiglia, era vino di Giulio, e sul fondo n'era rimasto abbastanza per un paio di bicchieri; sembrò a tutti una coincidenza fortunata: a tutti meno che a lui: «Cos'è che non andava bene, perché non l'hanno finito?», e scuoteva la testa». «Il boom dei vini californiani è cominciato coi bianchi, ma ora sono i rossi a tirare la corsa, i medici spiegano che qualche bicchiere di quello buono giova anche al cuore e sono tanti gli americani che danno ascolto ai consigli sulla salute. E di rossi mi sto occupando nella contea di Sonoma, a nord-est di San Francisco, che insieme alla Napa Valley è il cuore del cuore della viticultura Usa, un po' come il Chianti in Toscana o le Langhe in Piemonte. La terra è buona, fa caldo di giorno e freddo la notte, il vino è bello all'occhio, odora di prugne, more, lamponi. Vengono ragazzi da tutto il mondo, anche dall'Italia, fanno esperienza, imparano; tra le vigne: è il luogo dove preferisco stare. Margareth, mia moglie, sostiene di essere una vedova del vino, e lo dice in italiano, quando ha bevuto un po'. Abbiamo tre figli; due hanno una loro azienda, cominciano a produrre - indovinate - vino, sono bravi; uno di loro ha sposato una ragazza polacca: enologa. Il più piccolo studia da ingegnere; ma ha detto che quest'estate pensa di spendere le vacanze a far pratica, in cantina. Nonno Cesare ne sarebbe felice». La qualità si pagail 25 per cento in piùeuro e caroviniIl vino "di qualità", quello il cui prezzo attuale viaggia sui 6 euro, ha subito, negli ultimi due anni, aumenti di prezzo dell’ordine del 25 per cento. La denuncia arriva dall’Unione nazionale consumatori, attraverso il periodico "Scelte". Secondo l’associazione, è uno dei comparti in cui l’"effetto euro" ha avuto le conseguenze più grave per l’utente finale e riguarda specificamente i vini "di lusso".

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