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Il Sole 24 Ore

L’Italia lancia una sfida Doc contro la globalizzazione. W&F consiglia di puntare sui vitigni autoctoni per battere la concorrenza ... Prodotti di nicchia esclusivi tipici e inimitabili perché strettamente legati al territorio. E’ questa la risposta all’aumento della competitività del mercato globale del vino che negli ultimi dieci anni ha visto crescere il numero dei player con l’ingresso di nuovi Paesi (Nuova Zelanda, Cile, Sudafrica) che si sono aggiunti a quelli già affermati come la Francia. A sostenerlo è uno studio del Wine & Food (W&F), azienda di consulenza sull’esportazione dei prodotti enogastronomici italiani, che suggerisce di puntare sui vitigni autoctoni per battere la concorrenza. “Quello che sta succedendo nel mercato internazionale, di cui gli stessi francesi, che ancora oggi rappresentano un benchark di riferimento, stanno pagando il prezzo – spiega Carlo Schettino, amministratore delegato di Wine & Food - è che da tutto il mondo si ottengono sempre maggiori quantità di vini internazionali a prezzi accessibili. Si assiste quindi all’affermazione di una strategia di costo dove le economie di scala (allevamenti estensivi) e l’esperienza (le tecniche di vinificazione) tendono a globalizzare il prodotto, sfruttando anche oculate politiche di marketing particolarmente puntuali in termini di comunicazione, distribuzione e prezzo”. Grandi produzioni con costi e prezzi ridotti, dunque, alle quali un Paese come l’Italia potrebbe respondere facendo leva sul suo patrimonio di biodiversità, esaltando le tradizioni e le tipicità strettamente legate al territorio. Il modello non è soltanto quello delle Doc, ma anche delle zone vocate. Basti immaginare i casi del Barolo, del Brunello di Montalcino o del Nobile di Montepulciano, frutto originariamente dei vitigni autoctoni, che oggi hanno un riconoscimento a livello internazionale assolutamente paragonabile ai migliori Cru francesi. Tuttavia per avviare questo percorso sono necessari forti investimenti produttivi e di supporto a livello istituzionale poiché la selezione varietale ha bisogno non solo del supporto scientifico, ma anche dello sviluppo di metodi e tecniche di vinificazione appropriate. Il limite attuale di questo modello – aggiunge Schettino - è in parte strutturale, poiché i vitigni di cui stiamo trattando solo in poche casi sono capaci di rese tali da giustificare investimenti in termini qualitativi e quantitativi. Inoltre occorre che il modello di consumo da locale diventi nazionale e poi internazionale, perciò servirebbe la creazione di consorzi o enti capaci di comunicare e fare affermare i prodotti sul mercato”. Ed è quello che alcune aziende riescono già a fare con prodotti di successo. E’ il caso, solo per citarne alcuni, dell’Aglianico e del Greco di Tufo della Campania; del Grechetto dell’Umbria; del Nero d’Avola in Sicilia; del Primitivo della Puglia; dell’Erbaluce del Piemonte e della Bonarda dell’Oltrepò Pavese. “E tanti altri –conclude Schettino - potrebbero riempire un elenco che risulta essere composto da circa 350 diversi tipi di vitigni, il cui ammontare è certamente destinato ad aumentare dato che ancora oggi si scoprono centinaia di vitigni autoctoni o variazioni di tipologie originarie adattate localmente”.

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