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Il Sole 24 Ore

A me mi piace - Un brindisi alla sobrietà ... La prima volta che ho ascoltato l’invito è stato nel palcoscenico più prestigioso per il mondo del vino: «Wine experience» nell’ottobre 2003 a New York. In quell’occasione Angelo Gaja, una delle indiscusse star del wine system usò una decina di minuti del suo spazio per lanciare un ammonimento: «Bere con moderazione», lungamente applaudito da molti tra i potenti produttori californiani presenti, a cominciare da Robert Mondavi, già allineato da tempo sulle stesse posizioni. «È dimostrato scientificamente - sostiene Gaja - che l’alcol contenuto nel vino, assunto durante i pasti con intelligenza, con educazione, fa bene alla salute. L’abuso di alcol crea dipendenza, danneggia la salute, è da combattere. I produttori di vino dovrebbero uscire allo scoperto: assumere iniziative per un consumo consapevole del vino. Anche se costa sacrifici». Dopo aver ascoltato il monito ho pensato che cadesse nel vuoto. Davanti alla crisi attuale dei consumi di vino non solo in Italia, ma anche nel resto d’Europa, e a seguito del crollo in Italia dei consumi pro capite negli ultimi quindici anni, mi chiedevo chi potesse avere il coraggio "economico" di mettere il consumatore di fronte alle sue responsabilità di bevitore. Invece ho sbagliato perché sta per prendere forma una vera e propria campagna che nasce in un luogo del tutto particolare: la comunità di San Patrignano, dove da anni si combatte la droga, ma si produce anche vino. L’invito di Gaja di uscire alla scoperto va oltre, perché su tutte le bottiglie dei diversi ottimi vini di San Patrignano verrà affissa un’etichetta dove troverà posto la frase: «Il vino è piacere e salute. Bevi con sobrietà». «Non ci basta apporre questo messaggio sulle nostre bottiglie - afferma Andrea Muccioli - intendiamo invitare i produttori a farlo, ritenendo sia un preciso compito di tutti non limitarci a produrre e vendere ma promuoverne un uso corretto in modo esplicito e chiaro». San Patrignano lancerà l’iniziativa al Vinitaly, con manifesti sottoscritti già da organizzazioni leader e da prestigiosi produttori. In quanti seguiranno l’esempio della comunità? Ma soprattutto servirà a qualcosa l’invito scritto nell’etichetta? Forse i risultati dell’ammonimento sul pacchetto di sigarette potrebbero già offrirci una risposta. Certo è che l’alcolismo in Italia rappresenta ancora una piaga profonda, ma quanto di questo fenomeno è da imputare al vino e quanto ad altre bevande alcoliche? L’unica risposta positiva è che, per una volta, i produttori hanno preceduto disposizioni legislative nazionali o comunitarie (tentativi già ci sono stati al Parlamento europeo). In tempo forse per spiegare ai giovani, i quali sempre più si accostano al vino (il successo dei wine bar è una prova), la storia, la tradizione, la ricerca, in una parola la cultura celata dentro al vino, con le indicazioni a un corretto approccio, precedendo forme di inutile proibizionismo. Il terrorismo non è il miglior modo per educare i giovani all’uso del vino. Ricordo un paio di anni fa una campagna fatta per combattere i tumori con un manifesto, fisso nelle metropolitane milanesi, dove un uomo, con un bicchiere di vino in mano, urlava sublimalmente ai pericoli di quella bevanda. Certo è che soprattutto la scienza dovrebbe dare delle risposte univoche e serie al consumo del vino. Non è possibile che ogni giorno leggiamo di ricerche che si contraddicono l’una con l’altra. Ancora una volta invoco un’Authority che controlli le ricerche scientifiche che giungono da tutto il mondo sugli organi d’informazione. Ci vuole più chiarezza.

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