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Il Sole 24 Ore

Il business del vino perde sprint. Le difficoltà all’estero hanno rallentato la crescita delle vendite (+3,1%). Nel 2003 ha tenuto il mercato interno e gli investimenti fissi hanno toccato un nuovo record a 200 milioni di euro ... Almeno dal vino si sperava in un segnale che stemperasse il grigiore congiunturale del momento. Un segnale, cioè, capace di rigenerare le attese di ottimismo già ampiamente documentate. Ma dopo due lustri di ininterrotta baldanza, al punto da rendere l’universo vinicolo accattivante per tante economie di antica e nuova tradizione, forse era troppo pretenderlo. In fin dei conti il vino è un prodotto come altri, dunque anch’esso soggetto agli umori del mercato. Ora, quand’anche questi umori si siano un po’ appannati, nulla ha impedito alle aziende di proseguire nel solco già tracciato in precedenza, riqualificando i propri siti produttivi. La lettura del Focus vino 2004 di Mediobanca-Il Sole 24Ore, evidenzia questo aspetto, per cui l’offerta made in Italy di vini certificati oggi pesa tra Doc, Docg e Igt per quasi il 60% di una produzione che nel 2003 non è andata oltre 44,5 milioni di ettolitri, quando ancora quindici anni fa l’entità delle Doc toccava a stento la soglia del 10 per cento. Questa accelerazione si spiega con il fatto che i piani di investimento programmati dalle imprese sono poi stati puntalmente realizzati, al punto che il picco di 202 milioni di euro conseguito nel 2002 (+28%), che alla luce del trend mercantile appariva insuperabile, è stato appunto sfondato sia pure per pochi milioni di euro nel 2003. Tutto bene, allora? Non proprio, visto che la cosa peggiore che poteva capitare per un Paese come l’Italia, che esporta una buona fetta della propria produzione (34%), è di fatto accaduta: il crollo nel 2003 del 16,6% nei volumi esportati e dei relativi introiti (-4,4%) sono una testimonianza ineludibile. Una doccia fredda che però non arriva senza preavviso, stante la interminabile rivalutazione dell’euro, che ha reso problematico per le imprese italiane (e non solo) esportare nell’area dollaro. A questo si aggiunga la spietata competizione sui mercati internazionale, ma anche dell’Unione, portata avanti da alcuni Paesi produttori che non si sono fatti scrupolo di attuare politiche fortemente sospettose di dumping. In questo contesto tutt’altro che lineare, ecco che l’annuale panoramica del Focus sulle principali società vinicole italiane offre una chiave di lettura particolare quanto originale su quello che, non a torto, è considerato il settore più vitale della filiera agroalimentare. Un settore che si presenta con una struttura composta da 768mila aziende vitivinicole, 37.600 imprese imbottigliatrici e 1.915 unità produttive industriali. Dunque un comparto alquanto articolato ed eterogeneo nella sua composizione, ma che nell’insieme viene fuori da dieci anni di crescita costante, con un fatturato di filiera che ha toccato il suo massimo nel 2001 con 7,9 miliardi di euro (valori alla produzione), dopo di che ha dovuto ripiegare su livelli più contenuti fino a portarsi nel 2002 a 7,4 miliardi di euro. L’analisi del campione, che è stato ulteriormente allargato da 5• a 60 aziende rappresentative del 37% del valore della produzione vinicola nazionale e del 47% del totale export, ha così messo in evidenza una serie di dati strettamente connessi tra loro. Il primo punto è quello delle vendite, ovvero del fatturato totale 2003 che ha, sì, continuato a crescere ma con un ritmo assai più blando (+3,1%) di quanto verificatosi l’anno prima, che peraltro decretò il raggiungimento del punto massimo (+8,8%) dello sviluppo del fatturato, ma anche un’eccezionale performance (+14 per cento) degli utili. Grazie a questo e anche alla riduzione dei tassi di interessi sui prestiti bancari, il roe (dà la misura del ritorno sulla gestione) di quell’anno ha potuto crescere ulteriormente, portandosi dall’11 all’11,7%, superando per la prima volta il roi, l’altro indicatore che misura il ritorno sul capitale investito. In questo caso dal Focus emerge, sì, un rallentamento del rendimento (+10,8% rispetto a 11,6%) del capitale investito in aziende vinicole, ma la performance che si ottiene in questo settore è più incentivante di quanto non accada per gli investimenti diretti nelle società industriali tout court, mentre non è la stessa cosa nel confronto con le società di bevande che viaggia con tutt’altri risultati (+13,6%). Tornando alla gestione mercantile, quindi all’evoluzione del fatturato nel 2003, la lettura che si ricava è duplice a seconda che si osservi l’andamento delle vendite sul mercato interno oppure quelle fatte all’esportazione. Nel primo caso si direbbe che il trend abbia sostanzialmente tentuto, poichè la crescita (+7,6%) non si è discostata di molto dalla performance del 2002 (+8%); diverso, invece, l’evoluzione conseguita sui mercati internazionali che, come si è detto, ha performato negativamente del 4,4% in termini di valore. Per le imprese del campione, trattandosi di aziende meglio strutturare e organizzate nella gestione dell’estero, l’indicatore si è fermato a -2. Che sta a metà strada rispetto all’universo Italia, ma è pur sempre tanto rispetto al +9,7% di appena un anno prima. Una magra consolazione che non cancella gli errori di quanti in questo momento non si sono ancora resi conto che è forse meglio restare con i piedi per terra.

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