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Il Sole 24 Ore

Il made in Italy perde appeal. Nel 2003 cala l’export della dieta mediterranea e il vino scende del 3%. Dopo 35 anni minori vendite degli spaghetti. Continua la tendenza negativa per i prodotti dell’ortofrutta che soffrono il rallentamento dei consumi in Germania ... In principio era una piramide. L’immagine della dieta mediterranea, con alimenti ricchi di fibre e carboidrati alla base, grassi e proteine animali al vertice, sembra ora un po’ sfocata, non certo per i «fondamentali» nutrizionali quanto per il cono d’ombra proiettato dall’effetto-supereuro. Ad accendere la spia rossa sui prodotti simbolo del made in Italy alimentare sono i dati sulle esportazioni nel 2003: dal vino, all’olio d’oliva, dalle conserve vegetali all’ortofrutta, fino alla pasta l’Italia perde colpi. Principale "imputato" del rallentamento è il supereuro, il cui strapotere sul dollaro sta erodendo la nostra competitività oltreoceano. Ma a ben vedere nelle pieghe delle cifre, il segno meno compare anche sui principali mercati comunitari, il che fa pensare che, in alcuni comparti, sia in atto un riposizionamento verso altre categorie di prodotto. Segnali in questo senso vengono dal vino, la prima voce dell’export alimentare italiano: 2.837 milioni di euro esportati nel 2003, in calo del 3% rispetto al 2002. «Il nostro settore per anni ci ha abituato a macinare record - spiega il presidente dell’Unione italiana vini, Ezio Rivella -. Adesso la concorrenza si è rinforzata e dobbiamo ripensare le nostre strategie. Dopo la rivoluzione nel vigneto degli anni 80 e 90, che ha innalzato la qualità delle produzioni, occorre adesso una rivoluzione nel mercato. Bisogna investire di più in strutture commerciali all’estero, in attività promozionali per sostenere i prodotti nei punti vendita. Come hanno fatto gli australiani, che studiano prima la distribuzione e dopo pensano alla produzione». «Io resto ottimista - spiega Rolando Chiossi, presidente del Gruppo italiano vini (235 milioni di fatturato nel 2003, il 68% dall’export) -. I prodotti italiani continuano a godere di un’immagine forte. Ma dobbiamo ripensare i listini. Negli altri Paesi, in questi ultimi mesi sono esplosi i consumi nelle fasce di prezzo più basse. In Germania il 40% del vino viene venduto in brik sotto la private label dalla grande distribuzione. Negli Stati Uniti si assiste al boom delle bottiglie da 1,99 dollari. Nel Regno Unito (che copre il 15% dell’export del Giv) le catene distributive, che in passato hanno effettuato importanti operazioni promozionali sui vini italiani, ci hanno ormai sostituito con prodotti californiani e australiani. La verità è che sui mercati il made in Italy è percepito con un diverso rapporto qualità-prezzo rispetto all’attuale. Rivedendo la leva dei listini sono convinto che le nostre vendite riprenderanno a correre». Emblematica è la situazione anche nel settore ortofrutticolo. Forte di una Produzione lorda vendibile superiore ai 9 miliardi di euro e un saldo commerciale ancora in attivo per 651 milioni, ma con un export in affanno (-9% in volume nel 2003) e un pressing dell’import che nel 2003 ha registrato un aumento del 12% in quantità e del 15% in valore. E il trend negativo non risparmia il segmento delle conserve, le cui esportazioni l’anno scorso si sono attestate a 920 milioni, in calo di quasi il 3%. Colpa dell’aumento dei prezzi e del caro-euro, assicurano gli operatori. Che per spiegare il momento negativo di mercato partono dalla Germania, primo mercato di destinazione dei prodotti made in Italy ma alle prese con un deciso rallentamento della spesa per l’acquisto di frutta e verdura. «Negli ultimi due anni - afferma Luigi Peviani, presidente dell’Associazione nazionale esportatori importatori ortofrutticoli e agrumari (Aneioa) - a fronte di un calo delle vendite attraverso i canali tradizionali della Grande distribuzione e della Gdo si è riscontrato un sensibile aumento delle vendite attraverso i discount. Ma è su tutto il grande mercato europeo che si ha la misura di un diffuso malessere: l’introduzione della moneta unica ha lasciato il segno anche su economie forti come quella francese e tedesca, tanto che alcuni beni considerati fino a ieri di prima necessità, tra cui la frutta e la verdura, sembrano avere perso il loro appeal presso il consumatore». «Il problema riguarda soprattutto gli ortaggi - sottolinea Leo Bollettini, vicepresidente dell’Aneioa e titolare dell’omonimo gruppo di San Benedetto del Tronto (25 milioni di fatturato, di cui l’80% realizzato all’estero); complice la maggiore disponibilità di prodotto proveniente da tutto il Sud Italia, ma anche da Francia e Spagna, stiamo spuntando i prezzi più bassi degli ultimi 25 anni». «A causa dell’impennata dell’euro sul dollaro le nostre esportazioni di mele e di kiwi sono diminuite di oltre il 70% - rincara Michelangelo Rivoira, amministratore delegato del gruppo di Verzuolo (Cuneo), che fattura 40 milioni, di cui il 90% all’estero -. E l’invio massiccio di mele dagli Stati Uniti, ma anche dalla Cina, ci ha fatto perdere quote sui mercati nordafricani, asiatici, oltre che nel Nord America, dove siamo presenti da 40 anni».

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