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Il Sole 24 Ore

Quel vino è un monumento. Pregi e limiti di un’iniziativa in difesa del «patrimonio» viticolo ... Sono diventati come Figaro, tutti li vogliono, tutti li cercano. Sono i vitigni autoctoni, pardon "storici" come sottolinea sempre il professor Attilio Scienza. Nella schiera dei supporter (ci sono anch’io) anche i politici. È arrivata così, puntualmente, una proposta di legge d’iniziativa dei deputati del Partito dei comunisti italiani: Diliberto, Rizzo, Pistone, che contiene luci e ombre, ma ha il merito indubbio di porre un problema molto sentito in un momento di crisi del mondo del vino. Partiamo da un aspetto davvero importante che la proposta mette in risalto: lo stretto rapporto storico con il territorio degli autoctoni che posiziona questi come un vero e proprio «patrimonio culturale dello Stato». Finalmente c’è qualcuno che riconosce nel sistema cibo (giacimenti gastronomici, vino eccetera) valenze di bene culturale. E questa visione dovrebbe altresì essere estesa ai giacimenti gastronomici, molti dei quali hanno indiscutibili contenuti artistici nella produzione, dati dal gesto, dalla manualità, dalla storia di artigiani e di tradizioni. Le conseguenze di questa impostazione sono la valorizzazione e la difesa dei vitigni autoctoni in quanto espressione di cultura materiale. Sono convinto che, così come per i giacimenti, che non possono diventare mercato (causa i limiti produttivi, le difficoltà di distribuzione eccetera) ma restano nicchia, sia necessario creare delle "riserve" (il riferimento purtroppo è negativo se si pensa agli indiani) nei territori di produzione per far sì che quei vini storici possano diventare un richiamo per viaggiatori e appassionati, come per altri beni artistici e culturali. Solo così si difende un "patrimonio" e si genera valore nel territorio di produzione. È illusorio pensare di trasformare gli oltre 500 vitigni già classificati da Scienza e i suoi collaboratori con il comitato Vinum Loci (perché creare un inutile organismo, come indica la proposta Diliberto?) in vini in grado di competere sui mercati internazionali. Innanzitutto il consumatore italiano non li conosce: basta controllare la ricerca di mercato commissionata ad hoc dalla Fiera di Gorizia, dove il Tavernello viene indicato da oltre il 60% degli intervistati come frutto di vitigno autoctono. Non parliamo poi dei gourmet tedeschi o americani che non vanno oltre il Barolo, Brunello, Chianti, Montepulciano d’Abruzzo e Amarone. Quale dunque dovrebbe essere l’investimento di comunicazione a supporto? Alcuni fra gli autoctoni certamente possono avere chance di emergere, di far diventare la produzione da nicchia in mercato, ma quanti? Uno, due, dieci... Non possiamo metterci le bende agli occhi di fronte a un mercato mondiale purtroppo sempre più omologato al gusto internazionale dei vini apolidi a base di cabernet sauvignon, merlot, chardonnay, controllato da californiani, australiani, cileni eccetera. Realtà alla quale hanno contribuito anche i produttori made in Italy, che hanno spiantato vitigni autoctoni per far posto agli apolidi vincenti. Ci sarà retromarcia? O ci sarà una bolla speculativa come nel 1600, in Olanda per i tulipani? Punto davvero discutibile della proposta del Partito dei comunisti italiani: come si può sostenere che i vitigni autoctoni potranno calmierare il mercato? Siamo in presenza di vini difficili, in molti casi, come mostrano i tanti recenti successi (nero d’avola, negroamaro eccetera), hanno necessità addirittura di avere una moglie o un marito (merlot e cabernet) apolidi, con prezzi decisamente fuori mercato all’estero. Un altro aspetto controverso della proposta Diliberto è che non prende in considerazione la tutela del territorio d’origine dei vitigni autoctoni. E allora come si fa a difendere il bene di un territorio se, per esempio, il clone della Nascetta di Novello (Piemonte) o il Grillo (Sicilia) potranno venire impunemente trasferiti in altre aree? Gli autoctoni che rimarranno nicchia, in quanto minoranze di fronte all’omologazione creata dal gusto internazionale, dovranno essere tutelati, difesi nelle riserve dei territori per poter offrire "diversità". Tante nicchie possono costruire un mercato del gusto parallelo! Forse alcuni vini di vitigni storici potranno divenire mercato, come è già successo, ma a quel punto attenzione alla mannaia dell’Unione europea: la cancellazione delle 17 denominazioni è ferita recente. Sine qua non.

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