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Il Sole 24 Ore

La denuncia - Parla Franco Ziliani (Berlucchi) . «Vino, troppe mani sulla promozione». «La Ue moltiplica le normative e concede troppi spazi ai prodotti dei Paesi emergenti» ... «La promozione sui mercati esteri di vino e spumanti made in Italy non si sposa con la politica del federalismo. Andare a New York, Londra o a Tokio per promuovere in modo sparpagliato l’immagine dei prodotti della nostra tavola ritengo sia sbagliato e inefficace. Sarebbe invece auspicabile fare confluire le risorse, quelle modeste risorse che ora vengono stanziate, per comunicare uno dei prodotti simbolo della nostra terra in un’unica struttura, che abbia una perfetta conoscenza dei mercati in cui si opera e che parli con una sola voce». Franco Ziliani, presidente di Berlucchi Spa, primo produttore di spumante classico italiano (4,6 milioni di bottiglie nel 2003, praticamente un quarto dell’intera disponibilità nazionale), è noto nell’ambiente per essere anche una persona schietta e franca. Una qualità che, in qualche caso, lo ha anche portato su posizioni differenti rispetto a quelle di altri produttori: per esempio, l’abbandono dal Comitato nazionale dello spumante classico, lui che è il maggiore produttore in un segmento di mercato che da solo vale 200 milioni di euro; un altro caso è legato all’uscita, negli anni Ottanta, dal consorzio di Franciacorta, che ancora lui aveva contribuito a fare nascere molti anni prima, seminando di fatto i semi della crescita della Franciacorta come terra di vini e spumanti di eccellenza. E così, fedele al suo stile, Ziliani non si sottrae a chi gli chiede cosa pensi di questa sorta di arrembaggio dei vignaioli dei nuovi Paesi produttori su quelle piazze tradizionali roccaforte dell’Europa come gli Stati Uniti e il Canada e, addirittura, anche con assalti pesanti sugli stessi mercati europei. «Quanto sta accadendo sui mercati internazionali è il frutto del nostro tempo», dice. E aggiunge: «In Europa e in Italia si ha la sensazione che le autorità stiano facendo di tutto per favorire una politica delle porte aperte ai prodotti dei Paesi terzi. Io non sono né voglio essere protezionista, ma ho l’impressione che qui si stia giocando a senso unico, aprendo agli altri e creando, invece, innumerevoli ostacoli agli imprenditori locali, che di fatto si trovano discriminati nella propria terra». La parole allusive di Ziliani si trasformano subito in fatti concreti. «Si pensi, per esempio, ai limiti che ci vengono imposti in materia di nuovi vigneti: noi non possiamo piantare; gli altri lo fanno dove vogliono. E si pensi alle rigorose pratiche enologiche che noi correttamente rispettiamo. Ma mentre noi sottostiamo a queste norme, dai Paesi terzi arrivano mosti e vini ottenuti con tecniche che da noi sono vietate. Voglio augurarmi che a Roma e a Bruxelles si accorgano dei grossi errori che si stanno commettendo, prima che sia troppo tardi». Ma i problemi dell’Italia vinicola non sono solo internazionali e, ancora di più, non sono solo quelli provocati dai concorrenti esteri. A questo proposito il presidente della Berlucchi, che ieri ha ufficializzato il rientro nel consorzio dei produttori di Franciacorta, lancia altre frecce. Una contro il significato stesso del nome spumante, un’altra al tentativo finora mai riuscito di destagionalizzare la domanda del prodotto. «Sul nome - spiega Ziliani - è stato detto e fatto tutto e l’esatto contrario. Il risultato è che oggi continuiamo a utilizzare il nome spumante per una miriade di prodotti tra loro diversi: c’è lo spumante dolce, quello secco, quello fatto in grandi contenitori, quello fermentato in bottiglia e via dicendo. Non credo sia un bell’esempio». Che non lo sia lo si capisce osservando i dati di bottiglie esportate dall’Italia: 60 milioni circa di Asti, 10 milioni di Prosecco, meno di un milione di classico. E pensare che con 220 milioni di bottiglie totali e oltre 600 milioni di euro di fatturato, il settore è tra quelli del comparto vino ad avere il valore aggiunto più alto. Eppure non basta tutto questo per invogliare le imprese ad avviare una politica di destagionalizzazione dei consumi, che richiede anche un minimo di comunicazione. «A voler essere puntigliosi - precisa Ziliani - noi, come Berlucchi, sono anni che siamo impegnati nella destagionalizzazione dei consumi. Ma quante sono le aziende che fanno altrettanto?».

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