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Il Sole 24 Ore

Vino, gusto per buoni investitori. Alle etichette italiane si affiancano sempre più spesso prodotti di qualità provenienti da Stati Uniti e Australia. Una spesa che si trasforma a volte in business ... Il binomio cena buon vino vince sempre purché non si debbano sborsare cifre astronomiche. A frenare persino gli appassionati nel concedersi di brindare con una buona bottiglia sono i forti ricarichi che «nei pubblici esercizi possono arrivano fino al 700% - dice Andrea Panont di Federdoc la Confederazione che raggruppa la maggior parte dei consorzi di tutela delle denominazioni dei vini italiani - anche se ultimamente c'è più attenzione sia da parte dei produttori che seguono il prodotto fin sulle tavole dei consumatori. Alcuni ristoratori però applicano ottiche speculative e pensano erroneamente di essere venditori di vino». Sicuramente per convincere a riprendere a spendere bisogna rivedere i range di prezzo anche perché a detta degli operatori del settore sono aumenti ingiustificati. Se da un lato la richiesta di vini di prestigio o di nicchia riservati a pochi intenditori o a serate speciali dove si stappano bottiglie sui 25-30 rimane sempre, il consumo quotidiano è fatto da bottiglie che non raggiungono i 10 euro. La vendita di vini italiani tra i 6 e i 18 euro è aumentata dal 2002 al secondo semestre del 2004 del 23%, secondo uno studio che riflette la situazione generale di mercato condotto da Marchesi de' Frescobaldi, mentre la fascia delle bottiglie superiori ai 18 è crollata del 25%.I grandissimi vini però non passano mai di moda e servono a mantenere fascino e attenzione al mercato del vino. «I rincari dei prezzi vengono accettati solo sulle migliori etichette - commenta Alberto Cristofori di Wine Tip società specializzata nella vendita en primeur di grandi vini via Internet - mentre i produttori che sono andati a ruota dei grandi stanno soffrendo e in alcuni casi hanno le cantine piene e offrono sconti, fenomeno molto pericoloso di distorsione del mercato». Nessuno si scandalizza per i prezzi alle stelle che raggiungono vini come Sassicaia, Masseto, Redigaffi, Barolo Granbussia, Brunello Case Basse Soldera mentre i "mediocri" sono sempre troppo cari. «In una recente asta sono state aggiudicate una magnum Solaia '97 a 670 euro, un Redigaffi 2000 a 310, una magnum Sassicaia '97 a 350 - racconta Cristofori - mentre bottiglie intorno ai 30 euro non hanno raggiunto il prezzo di listino e neanche 15 euro Barolo e Barbaresco di produttori minori. D'altro canto sono stati aggiudicati un Barolo Monfortino '90 a 190 euro, un Barolo Cannubi Boschis '90 di Sandrone a 220 e il Terra di Lavoro 2001 a 115». A giocare in attacco sono le etichette da nuovi Paesi di provenienza che riescono con facilità a mantenere quel rapporto prezzo-qualità che attrae il compratore. In un mercato in cui i produttori italiani faticano a tenere il passo dei Paesi emergenti Australia in testa, che quest'anno sul mercato statunitense ha addirittura superato come vendite l'Italia da 30 anni primo importatore (oltre 886mila ettolitri di vino australiani importati nei primi sei mesi del 2004 contro gli 864mila del nostro Paese dicono i dati dell'Italian Wine & Food Institute) diventa fondamentale il valore aggiunto del territorio. «È sotto il cappello unico del marchio collettivo ossia della denominazione di origine - dice Panont - che si può avere una massa critica più ampia per competere». «Le previsioni per la vendemmia che si sta concludendo sono ottimistiche» continua Panont. L'Eldorado dell'enologia italiana per i rossi sono Sicilia e Puglia che mantengono un rapporto qualità-prezzo ottimo a scapito delle aree storiche Toscana, Veneto e Piemonte. Qui una eccezione è l'Asti che «in una situazione generale di calo ha tenuto rispetto all'anno eccezionale del 2003» sottolinea Panont anche direttore del consorzio dell'Asti che prevede entro fine anno un aumento delle richieste di spumatizzazione anche se contenuto al 1-1,5%. Non crisi del vino secondo gli operatori dunque ma più selezione e attenzione a bere bene senza spendere un capitale ma «anche questo fenomeno si assesterà e i vini di qualità ritroveranno il successo e la domanda di un tempo» conclude Cristofori.

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